sabato 23 marzo 2013

Orazione funebre in onore di Pietro Mennea



[23/03/2013] di Ferdinando Imposimato

Per onorare Pietro Mennea , la mia parola è superflua. Lo onorano le sue gesta leggendarie che hanno fatto di lui il più grande atleta d'Italia, d'Europa e del mondo, il simbolo della purezza e della sacralità dell'atletica leggera. La mia parola è inadeguata, tra i tanti che lo hanno evocato, altro titolo non  ho se non quello di avere goduto indegnamente   del bene prezioso della sua   amicizia fraterna e della  sua stima.  Non solo fu il   leggendario atleta olimpionico, detentore  del primato mondiale dei 200 metri  per 17 anni, ma  anche scrittore ,   politico, avvocato, docente universitario,   e alfiere dei diritti umani.
Egli sempre ispirò la sua condotta di atleta e studioso di diritto e di politica ad un'etica rigorosa ed inderogabile. La sua ambizione più grande  era  la  conquista della gloria,  non per sciocca vanità, ma   per riscattare il destino dei più disagiati e negletti.  Nonostante la sua grandezza, in lui non ci fu mai  l'arroganza  e la superbia  di chi eccelle  in qualche campo dimenticando la fragilità dell'uomo e la modestia delle origini . Egli era  umile e modesto , anche se fiero  e  ribelle di fronte a qualunque  ingiustizia  . Il suo ideale  di vita era  un mondo in cui i più deboli  fossero protetti contro gli abusi dei più forti . Voleva   che lo sport  fosse  palestra  che servisse a preparare  i giovani alla lotta per la vita,  occasione per il dialogo e la pace nel mondo, e non strumento di arricchimento per  avventurieri  e mercenari a  scapito della salute dei giovani e del bene della collettività.  E questo disse anche nel suo ultimo interessantissimo  libro sulla strage di Monaco del 1972, al quale mi chiese di scrivere la prefazione.
 Ed è per tutto questo,  oltre che per il suo valore di  atleta, che noi amammo e amiamo Pietro al quale ci unimmo  nelle sue battaglie  in difesa dei diritti  inviolabili alla vita ed alla salute . Certo si siamo appassionati all'impegno agonistico di Pietro nel superare se stesso ed i potenti avversari,  che   egli amava e rispettava,  certo che abbiamo assistito  stupefatti ed  ammirati alle imprese della freccia del sud che surclassava i suoi  antagonisti  pronosticati come invincibili. Ed, attraverso il mito di Mennea, abbiamo provato l'orgoglio di essere italiani e meridionali, non più famosi per  tristi fatti di mafia, ma vedendo un nostro concittadino, esile e fragile uomo del sud, battere nettamente campioni americani , russi e tedeschi nella regina delle gare sportive:  la velocità. Ma non solo per questo ammirammo Pietro Mennea.
In Pietro abbiamo visto  la sintesi tra   la intelligenza speculativa, l'abitudine alla sofferenza, la capacità di sacrificio e di rinuncia, l'umiltà e la fierezza delle proprie origini, l'orgoglio, l'amore per la propria terra, la Puglia,  e la volontà di riscatto. Ma in più Pietro ha avuto  una virtù rara : il rifiuto della rassegnazione e dell'indifferenza come stile di vita. Per molti  era  inconcepibile  e presuntuoso  pensare di avvicinare   i  limiti di velocità raggiunti dagli atleti americani, dal fisico armonioso e possente , da sempre dominatori invincibili della velocità.  Mennea , senza lasciarsi  scoraggiare dal pessimismo degli scettici,  smentì le previsioni degli esperti, che non  gli attribuivano una minima possibilità di successo. Non dimenticheremo mai la gara dei 200 metri a città di Mosca : dopo un inizio incerto, quando i giochi sembravano ormai   fatti con i soliti neri americani,  improvvisamente negli ultimi 50 metri Pietro impresse una spinta prodigiosa alla propria corsa,  con tutta la rabbia  per le ingiustizie subite e per l'amaro destino sofferto dagli umili, superando nettamente tutti gli avversari, increduli ed ammirati della impresa  mitica del piccolo pugliese, sparviero in uno stormo di aquilotti.
Mennea, orgoglio di tutti gli italiani, soprattutto dei deboli e diseredati, entrò nella leggenda, non solo in Italia ma in tutto il mondo da quelle  mitiche olimpiadi di Mosca . Ma da quel momento di gloria, iniziarono le sofferenze morali e le umiliazioni  di Pietro. Gli oscuri omuncoli  che  avevano  sperimentato la impossibilità di usare  Pietro per i loro affari privati , videro in quel ragazzo dalla tempra adamantina  e dalla morale incorruttibile, un potenziale nemico dei loro progetti   che  avevano  come obbiettivi: il denaro ed il potere. Mennea  era un'anomalia: pretendeva di raggiungere i traguardi più difficili e le mete più ambiziose con la sola forza dei suoi meriti personali, legati al sacrificio, alla costanza, alla rinunzia, all'entusiasmo ed alla dedizione incondizionata  alle regole della lealtà, della correttezza e dell'onestà.
 Quell'esile ragazzo  dallo sguardo limpido e dalla volontà d'acciaio  rifiutò qualunque compromesso che comportasse   violazione del principio di legalità, consacrato  nella nostra Costituzione. Il suo stile di vita rigoroso nella vita e nello sport,  il suo amore  per la libertà e la giustizia, misero   in allarme i masnadieri che  avevano da sempre in mente di trasformare ogni tipo di sport in occasione di arricchimento, anche a costo  di “trangugiare ogni esigenza tecnica, sanitaria, etica e umana dell'agonismo sportivo” per usare le parole di Gianni Minà. Ma quel ragazzo senza protezioni , costretto ad emigrare per trovare un  campo di allenamento al suo  enorme potenziale,  era  un osso duro: caparbio, tenace , orgoglioso, deciso a non piegare mai la schiena  di fronte ai signori degli apparati, pronti a sfruttare i successi degli atleti comunque ottenuti, salvo  abbandonarli se  non più utili ai loro scopi, deciso a rifiutare  la frode, la corruzione, i falsi e   le manipolazioni dei risultati a scapito del merito.  Egli non ebbe il laticlavio, che pure gli spettava,  avendo illustrato la patria per altissimi meriti in campo sociale , poiché lo sport aveva ed ha una  fondamentale funzione sociale: ed egli aveva insegnato, col suo modello di vita,  a  milioni di giovani una della quattro materie che Aristotele indicava come essenziale  all'educazione dei giovani: “la ginnastica, in quanto concorre a sviluppare il coraggio”, assieme “alla grammatica , alla musica e al disegno” ( Aristotele  la politica Laterza Bari p 265)
 Nel  luglio 2011 volle affidare a me , indegno suo amico , la sua amara preoccupazione, nata  dopo che il  14 luglio , Roma aveva ufficializzato la sua candidatura  ad ospitare i Giochi Olimpici 2020 e    dopo il ritiro della candidatura di  Parigi e di altre 8 città nel mondo .  Egli disse in una intervista che rilasciò a me e che fu ospitata dalla coraggiosa Voce della Campania , queste testuali parole “Un Paese civile, governato da una classe dirigente responsabile, quando vi è un’economia  in crisi ,  non dovrebbe chiedere mai la candidatura delle Olimpiadi,  Soprattutto non dovrebbe farlo una città come Roma  che non ha i conti pubblici in ordine, ma una situazione debitoria molto elevata” Disse ancora Mennea con amarezza: “ Per l’Italia con uno dei più alti debiti pubblici al mondo,  che  cresce a ritmi del 4%, non appare opportuno affrontare questo genere di eventi. Roma non ha bisogno dei Giochi Olimpici per mostrare la sua grandezza. Questi sono eventi che durano  quindici giorni. Una volta terminati, lasciano costi e oneri infiniti a carico della città e del Paese che li organizza. Stiamo  pagando la gestione degli impianti per i Giochi invernali di Torino, mentre la Grecia è nella drammatica situazione in cui si trova anche per colpa delle Olimpiadi del 2004».
 Pietro Mennea fu un “perseguitato per causa della giustizia” , boicottato e isolato dai signori dello sport-affarismo,  non recedette  mai dai suoi principi. Pochi uomini coraggiosi lo sostennero sempre: Sandro Donati, Gianni Minà e Carlo Vittori, a loro volta vittime degli arbitri del potere per la loro intransigenza verso i corrotti. Nel frattempo caddero alcuni dei falsi miti dello sport, coloro che  avevano usato droghe e farmaci illeciti pur di vincere. Tra questi David Jenkins, dominatore effimero e falso dei 200 e 400 metri, consumatore e  trafficante di droghe, arrestato e condannato. E  Ben Johnson, altro grande campione della velocità , caduto nelle grinfie di affaristi senza scrupoli.
  Mennea comprese   da  tempo, con amarezza e sofferenza,  che le sue risorse  umane trascurate  dal potere  gli  imponevano di   rinunziare al suo sogno di dare ai giovani delle nuove generazioni il prezioso contributo di conoscenze  e di  insegnamenti  della  sua esemplare condotta di vita sportiva. Seguendo il consiglio di Aldo Moro,  che ammirava  quel  giovane atleta pugliese ,  Mennea scelse,  fin dal 1974, di iscriversi alla facoltà di scienze politiche . Egli si dedicò alla realizzazione degli ideali consacrati nella carta di Nizza  2000, assertrice della funzione sociale , educativa e politica dello sport. Contro il rampantismo economico e politico, che  favoriva  la diffusione del doping e i contatti con il crimine organizzato.
Ma Mennea estese   la sua analisi impietosa “all'abuso di  sostanze farmaceutiche lecite, che produce alla lunga problemi gravissimi che erano e sono causa di alterazioni artificiose  indotte nei sistemi biologici dell'individuo” .  Da queste premesse Mennea rivendicò  la esigenza di un diritto allo sport, come diritto inviolabile,  che  tutelasse la funzione sociale dello sport  come strumento per favorire l'  educazione , l'integrazione delle razze, delle religioni, e delle classi sociali, contro ogni discriminazione e  razzismo. Mennea tese  alla attuazione dei principi affermati nella relazione di Strasburgo del settembre 2000, affinché “le federazioni sportive proteggessero i minorenni, vietando che essi  fossero oggetto di speculazioni commerciali e dando loro una  formazione educativa e lavorativa complementare alla formazione sportiva” “ Con una attenzione particolare alla loro salute ed alla prevenzione del doping” ( art 12 Carta di Nizza).
Nella sua analisi rigorosa e implacabile, Mennea ricordò la falsificazione del salto in lungo di Evangelisti durante i campionati di atletica  del 1987, che  aveva portato alla emarginazione di Donati, che  aveva denunziato lo scandalo, mentre il gruppo dirigente che sapeva e tacque rimase  ai vertici dello sport   senza pagare  per le loro colpe.
Non possiamo dimenticare il grande insegnamento che Mennea ci ha lasciato,  quando esortò gli atleti a rifiutare l'uso del doping sulla loro pelle e  sulla loro vita .  Le sostanze dopanti  avevano prodotto un effetto venefico anche sul nostro animo  di amanti dello sport , provocando delusione e scetticismo. E il dubbio che dietro ogni clamorosa vittoria si nascondesse l'epo o il testosterone o qualche pianta esotica che sfuggiva  ai controlli cominciò a serpeggiare in tutti noi.  Spiace di dovere dire queste cose , ma so di rispettare la volontà di Pietro Mennea e di Manuela , sua  moglie  fedele , la quale lo sostenne, con grande coraggio  e  intelligenza  nelle sue difficili  battaglie .
Ma, come Mennea, credo che una drammatica  verità sia preferibile ad una pietosa illusione.
E che l'Italia si può salvare solo seguendo l'insegnamento di Pietro Mennea, non degli squali che navigano nel  mare agitato dello sport.  Bisogna con Mennea ripudiare il motto cinico che aleggia sinistro sullo sport in Italia e all'estero, e anche sulle olimpiadi: l'importante non è partecipare, ma vincere ad ogni costo e con ogni mezzo. E  bisogna respingere  la filosofia machiavellica che “il fine giustifica i mezzi”, che è stata tirata in ballo anche per giustificare  le stragi di Stato   e i delitti più  feroci. Oggi  occorre evitare che , grazie al doping,  una schiera di  lestofanti senza arte né parte  mantenga in eterno, nelle sedi mondiali,  i  propri  posti al vertice dello sport. Mennea insegnava che non era possibile pretendere di  vincere  ad ogni costo e con ogni mezzo, che non si poteva accettare di vincere per esprimere  in medaglie d'oro la  supremazia degli squali, perché ad ogni medaglia corrispondeva un rafforzamento delle loro posizioni di potere, un finanziamento statale o un contratto pubblicitario miliardario  gestito senza controlli e la gloria effimera decantata da giornalisti che fingevano di non vedere, non capire e non sentire, pur di garantirsi  laute ricompense o premi dentro organi di informazione. Era questo groviglio di interessi che denunziò  Pietro Mennea,  convinto che l'etica nello sport  e la ricerca della verità potevano dare al miglioramento della condizione dell'uomo, dentro e fuori dello sport, un contributo sicuramente superiore alle astuzie di una politica calcolatrice e machiavellica , che a lungo andare   distruggeva  la salute e la vita dei giovani, la loro speranza e le nostre illusioni.
L'insegnamento che viene da Mennea è straordinario: non basta vietare ai giovani l'uso di sostanze dopanti e l'abuso di sostanze lecite , dannose alla salute; ma occorre far capire loro che  nulla vale quanto la propria integrità fisica e quella dei propri figli, vittime innocenti degli errori dei padri. Occorre inculcare nei giovani l'etica del sacrificio e della responsabilità demolendo il culto del successo; insegnare loro che le persone si valutano per quello che riescono a dare e non per quello che riescono a farsi dare senza averne meriti. Lo sport non deve essere il traguardo finale della vita, ma la tappa di un lungo cammino irto di difficoltà e di sofferenze. E a Mennea  rivolgo le frasi di Tucidide : “ potente per dignità e per senno, chiaramente incorruttibile al denaro, non parli al popolo per lusingarlo, come avresti fatto se avessi ottenuto il successo con mezzi illeciti, ma lo contraddici anche sotto l'influsso dell'ira, avendo tu ottenuto la gloria e la fama per tuo merito personale” ( Tucidide le storie II 69).  Mennea   non accettava di fare parte di quella schiera di uomini  che “ preferiscono essere  chiamati abili malvagi piuttosto che sciocchi galantuomini, e dell'una cosa si vergognano dell'altra si vantano”. Mennea ricordava che “ chi si abitua alla lotta riesce a combattere anche quando è  a terra, completamente disarmato, vendendo cara la propria pelle, non rassegnandosi alla sconfitta, ma tentando fino alla fine di pervenire alla vittoria e quando incontra la sofferenza , chiunque ne sia portatore, le muove guerra, perché comprende perfettamente che laddove regni il dolore l'umanità, tutta l'umanità subisce un clamoroso smacco”
Noi possiamo rinascere solo seguendo l'insegnamento di Pietro Mennea. Grazie Pietro per tutto quello che ci hai donato , nello sport , nella vita, nella politica , nell'etica.

martedì 19 marzo 2013

Colpire al cuore il conflitto di interessi



di Ferdinando Imposimato [19/03/2013]

Era inevitabile il disastro della sinistra, ma non mi sarei mai aspettato che Silvio Berlusconi, benche' sconfitto, riuscisse a recuperare lo svantaggio giungendo a poche decine di migliaia di voti dal Partito Democratico. Questo dimostra ancora una volta la potenza enorme della tv, che riesce a condizionare, secondo dati di credibili studi di ricerca, il 75 per cento degli elettori, che non va troppo per il sottile nel dare il voto. Questo ha comportato non solo la mancata vittoria del Pd al Senato, ma anche la sconfitta di Umberto Ambrosoli in Lombardia, dove il cavaliere ha vinto nonostante gli scandali, la condanna in primo grado, il severo giudizio del Tribunale di Milano sulla pericolosita' del condannato, la catastrofe del sistema del presidente della Giunta regionale e la presenza di un avversario di Maroni, Ambrosoli, che riscuoteva il consenso della stragrande maggioranza degli italiani.
Non e' solo lo smacco in Lombardia, ma anche la batosta in tutto il Nord e nelle regioni cruciali del Sud, ad avere sancito il crollo della sinistra, ancora dominata da un Massimo D'Alema, sempre piu' impresentabile, assieme a un Pier Luigi Bersani che ha dimostrato di non sapere mantenere neppure le promesse di rinnovamento annunziate alla vigilia. Hanno sicuramente inciso i silenzi del segretario Pd su alcune questioni chiave, come la lotta all'evasione fiscale, la riduzione dei costi enormi della politica, con la perdita delle somme ingenti versate per rimborsi elettorali inesistenti, la riduzione delle indennita' parlamentari, la soluzione del conflitto di interesse, una seria lotta alla corruzione, una maggiore giustizia sociale, la tutela del diritto al lavoro.
Quei silenzi significavano una sola cosa: il partito democratico non voleva impegnarsi a promettere cose che non avrebbe fatto. Al contrario, Beppe Grillo, pur non essendo presente in Parlamento, dimostrava una concreta volonta' di ridurre i privilegi dei suoi eletti alla Regione Sicilia, quelli che sarebbero stati eletti al Parlamento nazionale e nei vari parlamenti regionali, di non volere i rimborsi elettorali per milioni di euro, non gestiti dal capo del movimento ma da soggetti esterni alla segreteria, in maniera del tutto trasparente, come usa in tutte le democrazie degne di questo nome. Del resto, la stessa assenza dai canali tv, mentre dilagavano persone squalificate, come Silvio Berlusconi e lo stesso Massimo D'Alema (che del primo era stato garante per anni), era la prova di una scelta coraggiosa dei grillini, che dimostrava rispetto dei cittadini e della loro capacita' di scelta.
A questi requisiti occorre aggiungere, come elemento positivo, il coraggio che ha avuto Grillo di puntare su giovani e adulti del tutto nuovi alla politica, ma non per questo meno capaci e preparati, mentre il Pd riproponeva i soliti dinosauri, come Bindi e Zavoli, attaccati alle poltrone e decisi a difenderle anche con i cannoni.
E fa piacere che Grillo abbia posto al primo punto del suo programma la soluzione del problema del conflitto di interessi, assieme a quello della eliminazione dei rimborsi elettorali e della lotta alla corruzione, nelle sue varie forme.

LE VIE DELLA CORRUZIONE
Quella del conflitto di interessi, contrariamente a cio' che pensa Enrico Mentana, e' una questione centrale della nostra, come di qualunque altra democrazia. Ed e' bene cercare di spiegare di cosa si parla. La principale questione morale riguarda il conflitto di interessi dilagante, fonte di corruzione e criminalita' e di una gestione dissennata delle risorse pubbliche. Questa e' la situazione apparentemente “legale” in cui viene a trovarsi un governante, un amministratore, un banchiere, un politico o un giudice il quale, anziche' fare l'interesse pubblico nella sua attivita' istituzionale, cura il suo interesse privato o quello di amici e prestanomi. Questo viola l'articolo 97 della Costituzione che impone alla pubblica amministrazione di agire rispettando i principi del buon andamento e della imparzialita'.
Il conflitto di interessi e' il principale strumento di corruzione diffuso in Italia. Un cancro che affligge la politica del Governo e le nostre istituzioni da decenni. E che si aggrava nonostante le denunzie e le accuse che fioccano per gli scandali ricorrenti. Che interessano varie categorie di persone: governanti, amministratori, governatori, banchieri, imprenditori, consulenti, magistrati, soggetti nei quali spesso si uniscono le funzioni di controllori e controllati. Con il permesso o nell'assenza della legge.
E' questo conflitto l'anello debole della tangentopoli che ci sommerge, e' la sua mancata disciplina come delitto autonomo, dopo la depenalizzazione dell'interesse privato in atti di ufficio (articolo 324 del codice penale) avvenuta nel 1990 per volonta' della sinistra. L'eliminazione di tale delitto ha consentito il prosperare di vecchie e nuove forme di criminalita' che vanno sotto il nome di “colletti bianchi”.
Ed e' proprio da questo che bisogna partire per capire cio' che di molto complesso sta accadendo.
Il conflitto d'interessi, oltre alla Costituzione, viola i codici deontologici. Ma non viola il codice penale. Ed oggi e' divenuto il principale strumento di corruzione. Un cancro che affligge la politica e le istituzioni pubbliche e private da decenni. E non si riesce a debellare. Proprio perche' chi dovrebbe farlo - in primis il governo - versa in clamorosi conflitti di interessi e non intende quindi risolvere il problema. Anzi, la legislazione varata va nella direzione opposta, che e' quella di favorire operazioni societarie sotto copertura, che nascondono spesso il riciclaggio di capitali sporchi di provenienza la piu' svariata. Sotto silenzio e' passata la notizia del varo della legge contro la corruzione, che si e' risolta in una maggiore apertura a questi fenomeni criminosi, con la riduzione assurda della pena per il delitto di concussione fraudolenta.
Il caso piu' clamoroso del conflitto di interessi riguarda certamente l'ex presidente del Consiglio Berlusconi. Il quale ha approvato leggi che favoriscono i suoi interessi patrimoniali - vedi leggi sul falso in bilancio, sulla esportazione di capitali e sul condono agli evasori - o gli interessi giudiziari propri e di amici, come la legge ex Cirielli, una forma di indulto ad personas; ma anche gli interessi politici, come le leggi che alterano la par condicio nell'uso dei mezzi di informazione, condizione indispensabile per una corretta competizione democratica, senza che intervenga alcuna sanzione.
Un altro fenomeno grave ha riguardato per anni i conflitti di interesse della Banca di Italia, in violazione dell'articolo 47 della Costituzione, per il quale «la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme e disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito». La mancata soluzione dei problemi emersi in materia di risparmio (i casi Monte Paschi di Siena, Cirio e Antonveneta), derivo' da situazioni confliggenti della Banca d'Italia. Che da un lato svolge compiti di vigilanza e di controllo sugli istituti di credito; dall'altro e' in parte di proprieta' degli stessi istituti di credito che avrebbe dovuto controllare (ex banche pubbliche divenute private); e dall'altro e' organo di tutela dei risparmiatori, cui la Costituzione assegna speciale protezione.
A questo si aggiunga un altro paradosso, che il Cicr (comitato per il credito e il risparmio), organo che doveva controllare la regolarita' della condotta del Governatore della Banca d'Italia, era composto non solo dallo stesso Governatore, ma anche dai rappresentanti delle banche controllate, comproprietarie della Banca d'Italia, e da ministri che avevano interesse a favorire finanziamenti localistici, aperture di sportelli, prestiti a gruppi di clientes e roba del genere. Un guazzabuglio reso possibile da leggi-non leggi e carenza di leggi.
Le operazioni truffaldine sono state compiute con l'avallo formidabile di una politica criminogena fondata sulla depenalizzazione dell'interesse privato in atti di ufficio, sulla legittimazione dei fondi neri, sui condoni con il rientro dei capitali illeciti, sulle evasioni fiscali. Ma le operazioni sono state anche il risultato di controlli pressoche' inesistenti di Banca d'Italia, in primis. E anche di Consob, Borsa, sindaci, revisori dei conti e agenzie di rating, che non hanno funzionato e non hanno garantito, come dovevano, un reticolo di trasparenza e affidabilita'.
Gli organi di controllo sono stati un costosissimo apparato di supporto per una miriade di delitti (insider trading, truffa, falso in bilancio, bancarotta, riciclaggio) al confronto dei quali i reati del crimine organizzato appaiono ben poca cosa. La gravita' dell'imbroglio e' nel fatto che esso e' stato reso possibile dalla complicita' o dalla connivenza di soggetti istituzionali e di banche. Ancora una volta, prima della politica, sono arrivati i magistrati, che hanno fatto il loro dovere senza guardare in faccia nessuno.
Vi e' stato l'intervento rapido, esemplare e competente della magistratura inquirente. Quella stessa magistratura che, sottoposta da anni agli attacchi forsennati dei vari Governi in carica, e' oggi l'unica funzione pubblica italiana che, in questo momento, tiene alto il prestigio del Paese. La magistratura dimostra, con il caso Mps, di andare avanti senza strumentalizzazioni e senza guardare ne' a destra ne' a sinistra.
Venendo alle prospettive politiche immediate, i segnali sono contrari alla ipotesi di un accordo tra Pd e M5S. Non credo che il Partito Democratico sia d'accordo nel varare una legge sul conflitto di interessi, o sulla eliminazione dei rimborsi elettorali o del finanziamento dei partiti, che invece sono obiettivi primari di Grillo. Se questi dovesse giungere a un compromesso, sicuramente perderebbe gran parte dei consensi conquistati.
D'altra parte il Pd lascia intendere di non potere rinunziare al rimborso delle spese elettorali, anche della parte che eccede di 5 volte le spese reali. Ne' sembra d'accordo nel ridurre le indennita' parlamentari, che sono quintuple rispetto a quelle di tutto il resto d'Europa.
Quanto alla legge elettorale voluta da Calderoli, ma mantenuta dal Pd e dall'Italia dei Valori, che pensavano alla scelta dei candidati amici e parenti, essa si e' risolta nell'eterogenesi dei fini. Gli stessi Bersani e di Pietro ne sono stati travolti, ed ora diventa difficile cambiarla, perche' tutte le maggioranze la ritengono conveniente ai loro scopi.

Difesa collettiva della Costituzione contro i demagoghi