domenica 2 novembre 2008

Famiglia e Costituzione

I principi fondamentali che regolano i rapporti etico - sociali, con particolare riguardo a quelli relativi all'istituzione familiare e ai compiti dei genitori

 di Ferdinando Imposimato

 

Premessa. Lo Stato e la Famiglia secondo Aristotele e Socrate

La nostra costituzione si ispira alla concezione  aristotelica della famiglia. Essa era  intesa, nell'antica Grecia,  come  perno dello Stato democratico, e per questo meritevole di un preciso riconoscimento e di   tutela nella Costituzione di Atene. Per Aristotele,  solo esaminando di quali elementi fondamentali risulta composto lo Stato, si ha una visione chiara dello Stato.  Il grande filosofo, che Dante definisce come “il maestro di color che sanno”, afferma: “La comunità che si costituisce  per la vita quotidiana secondo natura  è la famiglia,  e  la prima comunità che  risulta dalla sintesi tra più famiglie è il villaggio”.  “La comunità che risulta dall'insieme di più villaggi è lo Stato, perfetto, che raggiunge il limite dell'autosufficienza completa. “Lo Stato – osserva  Aristotele - esiste per rendere possibile  agli uomini una vita felice” E  a questa concezione della Stato,  portatore di felicità,  si è ispirata la Costituzione americana  secondo  cui lo scopo principale   cui mira  lo Stato americano  è  la felicità dei cittadini.

Anche la Costituzione italiana ha assunto la famiglia come  società naturale, cardine della società e meritevole di tutela e di agevolazione  sul piano economico.  E dunque,  sia la Costituzione Italiana che quella americana hanno  introdotto  i principi costituzionali affermati , 450 anni a c n, da Aristotele nel suo trattato sulla politica (Politica Aristotele. Laterza Bari). Il  filosofo  ateniese  sostenne che lo Stato stesso, prima ancora della famiglia, è  “una società naturale”.  E cioè che esso nasce  fin da quando esiste l'uomo. L'essere umano  per natura è un essere sociale: chi vive  fuori della  comunità statale o è un abietto o è superiore all'uomo, rileva Aristotele. “Poiché la natura non fa niente senza scopo e l'uomo, solo tra gli animali, ha la parola, fatta per esprimere ciò che è giovevole e ciò che è nocivo, e di conseguenza il giusto e l'ingiusto, e tutti gli altri valori, il possesso comune di questi valori costituisce la famiglia e lo Stato” ( Politica di Aristotele p 6 e 7 Laterza Bari) . Aristotele  spiega  che lo Stato è anteriore alla famiglia, poiché  lo Stato è “il tutto,  deve essere necessariamente anteriore alla parte, cioè all'uomo.  Nessuno può pensare che un braccio esiste senza il corpo. Per natura in tutti gli uomini  esiste  la spinta verso la  partecipazione alla vita dello Stato passando attraverso la famiglia. E  “chi costituì per primo lo Stato fu causa di grandissimi beni.  “La giustizia è elemento essenziale dello Stato; il diritto è il principio ordinatore dello stato, e la giustizia è determinazione di ciò che è giusto( p 7 Politica Aristotele Laterza Bari ).

Studiando la famiglia nei suoi elementi più semplici, Aristotele rileva che essi sono  “marito e moglie, padri e figli, padroni e schiavi”. E che l'essenza della famiglia è il  “rapporto matrimoniale tra uomo e donna e la procreazione dei figli”.  Aristotele respinge l'idea  socratica di uno Stato in cui  possa esistere    una sola grande  famiglia, nella quale vi sia comunanza di donne,  figli  e beni. Aristotele  riconosce  che uno Stato  debba  avere necessariamente  delle cose in comune, come il territorio, o il mare o i fiumi, ma questa comunione non si può estendere alle donne ed ai figli e alla  proprietà. Socrate  sosteneva  che  “lo  Stato ideale  che aspira alla massima unità come suo bene supremo”   è quello in cui si realizza “la comunanza di donne, figli e averi, come afferma Platone nella Repubblica. Lo Stato  perfetto, secondo  Socrate, è  quello in cui esiste una unica grande famiglia: ma Aristotele replica che “se lo  stato,  nel suo processo di unificazione é sempre più uno (nel senso di unito), cioè riesce a realizzare una sola  grande famiglia, non sarà neppure uno Stato, perchè lo Stato – e qui è un'altra geniale intuizione di Aristotele - è per sua natura pluralità,  mentre  diventando sempre più una sola  entità, si ridurrà a famiglia da Stato e a uomo da famiglia: in realtà dobbiamo ammettere – conclude  Aristotele -  che la famiglia è più  di una  nello Stato: di conseguenza chi  fosse in grado di realizzare  tale unità di tutti gli uomini e delle donne e dei beni, non dovrebbe farlo perchè distruggerebbe lo Stato(Aristotele politica Laterza p 32). Infatti una unica grande famiglia  con la comunanza di donne , di figli e di proprietà – una sorta  di comunismo integrale - porterebbe non alla concordia, presupposto per la felicità di tutti i cittadini, ma alla discordia. Infatti     “ di quel che appartiene a molti non si preoccupa più nessuno,  perchè gli uomini badano soprattutto a quel che è di proprietà di ciascuno di loro, di meno a quel che è possesso comune, o tutt'al più nei limiti del loro personale interesse.E dunque occorre che nello Stato esistano una miriade di famiglie, ciascuna fornita della propria autonomia ed individualità.

 

La famiglia secondo Voltaire

Quanto alla famiglia, il filosofo Voltaire, il padre dell'illuminismo francese,  come Aristotele  non riconobbe altra famiglia che quella formata  da uomo, donna e figli.   Voltaire, pure essendo il filosofo della tolleranza e critico feroce  di ogni forma di intolleranza, e per questo nemico della intolleranza, della superstizione, del fanatismo e della religione cristiana, responsabili  di crimini orrendi commessi con  la copertura del Tribunale della Inquisizione - memorabile è la storia della condanna a morte di Jean Calais  per puro fanatismo religioso -  mostrò a sua volta una intolleranza assoluta  verso  la famiglia  omosessuale ed in particolare verso la pederastia,  che   condannò ferocemente,  chiedendosi,  a proposito dell'amore cd socratico, cioè tra uomini o tra donne e soprattutto tra adulti e bambini, “ come è possibile che un vizio, distruttore del genere umano se fosse universale, che un attentato infame contro la natura  sia tuttavia così naturale? Esso appare come l'estremo grado della corruzione consapevole. E' entrato in cuori novizi che non hanno conosciuto né l'ambizione né la frode né la sete di ricchezza: è la gioventù cieca che, per un istinto confuso, precipita  in questo disordine uscendo dalla infanzia” Egli proseguì dicendo: “Non posso sopportare  che si sostenga che i greci abbiano  autorizzato questa licenza. Si cita il legislatore Solone perché in due versi disse: amerai un bel ragazzo finché il suo mento non abbia barba”. Ma diciamo la verità, Solone era legislatore quando compose questi due versi ridicoli?” . (Voltaire dizionario filosofico edizione Newton Compton Roma p 12-14)

 

 

 

  I rapporti etico sociali  con particolare riguardo alla famiglia  secondo la Costituzione

I rapporti etico sociali sono disciplinati dagli articoli 29- 34 della Costituzione e riguardano i diritti della famiglia, intesa come società naturale fondata sul matrimonio,  i rapporti dei genitori con i figli, la tutela della salute come diritto dell'individuo ed interesse della collettività, il diritto alla istruzione e la prevalenza della scuola pubblica (art 33 Costituzione), prevedendo che i privati possano istituire scuole  ed istituti di educazione senza oneri per lo Stato, e il  sostegno economico per i meritevoli (art 34 3 comma Costituzione)

La costituzione repubblicana dedica particolare attenzione all'istituto della famiglia ed ai compiti dei genitori verso  i  figli. L'art 29 della Costituzione afferma che la      “Repubblica  riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Aggiunge che “il matrimonio è ordinato sulla uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia della unità familiare”. Tale norma va interpretata, da un lato, come presa d'atto del valore originario e pregiuridico della Famiglia e del suo assetto fondamentale di istituzione  che soddisfa bisogni fondamentali dell'individuo: come il completamento della sua personalità con la scelta di un “compagno” con cui affrontare le difficoltà della esistenza; la procreazione e l'educazione della prole. Dall'altro come impegno a rispettare l'autonomia delle singole famiglie, salva la necessità di intervenire a difesa dei figli “nei casi di incapacità dei genitori” ( art 30 comma 2 Costituzione). Naturalmente non vi è un modello universale  ed immutabile di famiglia, ma vari tipi storicamente condizionati. Difatti nella società di un tempo, prevalentemente agricola, la famiglia tendeva ad organizzarsi come unità produttiva, sia verso l'esterno, per il mercato, sia rivolta all'interno della comunità familiare stessa. La famiglia aveva scarsa mobilità, accentramento gerarchico, con i poteri del paterfamilias sulla moglie e sui figli, rigida distribuzione dei ruoli. Solo a partire dalla metà degli anni settanta, con il processo di industrializzazione, si è verificata la disgregazione della famiglia antica, sia sul piano della composizione numerica , con il passaggio alla cd famiglia nucleare, composta dai soli genitori e figli, sia sul piano della contrazione dei poteri del capofamiglia, sia sul piano della riduzione della funzioni svolte all'interno della famiglia, come l'assistenza e la istruzione. oggi affidate totalmente ad istituzioni pubbliche.

Esemplare è la evoluzione della  posizione sociale e  giuridica della donna , da soggetto incapace di agire senza autorizzazione  del marito, “tenuta ad accompagnare il marito dovunque egli crede opportuno di fissare la sua residenza( come stabiliva l'art 144 cc nel testo originario) e a prestargli obbedienza in cambio del diritto al mantenimento, a soggetto con “pari dignità sociale” (art 3  Cost), rispetto al marito, dovendo “il matrimonio essere ordinato sulla uguaglianza morale e giuridica dei coniugi” (art 29 Cost). L'adeguamento al precetto costituzionale, però, richiese una profonda modifica del codice civile, poiché il testo  originario manteneva la moglie in una posizione di subordinazione, attribuendo al marito la qualifica di “capo della famiglia” investito di una “potestà maritalesulla moglie ( art 144  cc del vecchio  testo). Ma la Corte Costituzionale era intervenuta ripetutamente a dichiarare la illegittimità di norme  del codice civile e penale in contrasto con il principio di parità  tra i coniugi. Nel 1970 si registrava l'introduzione  del divorzio, per cui il matrimonio non era più indissolubile. Cinque anni dopo,  con legge 19 maggio 1975 n 151,  veniva varata una riforma profonda  che disponeva l'innalzamento della età per  contrarre matrimonio, profonde modifiche sulle cause di invalidità delle nozze  (con la previsione dell'errore della violenza e del dolo),  l'integrale parificazione  dei coniugi nel governo della famiglia e nella potestà sui figli, l'abolizione della separazione personale dei coniugi  “per colpa”, la comunione dei beni, la attribuzione della azione di disconoscimento della  paternità pure alla  madre ed al figlio; la riconoscibilità dei figli naturali procreati in costanza di matrimonio; l'ammissibilità di una illimitata ricerca giudiziale della paternità naturale;  la sostanziale equiparazione dei figli naturali e dei figli legittimi; il miglioramento dei diritti successori del  coniuge superstite e dei figli naturali.

La famiglia legittima è quella fondata sul matrimonio. La  famiglia di fatto è quella costituita da persone che, pur non essendo legate tra loro dal matrimonio, convivono more  uxorio, insieme agli eventuali figli nati dalla loro unione.

In realtà la nostra costituzione tutela anche  i “diversi” - omosessuali, bisessuali, transessuali - all'art 3 della Costituzione, quando dice che “tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge e hanno pari dignità  sociale, senza distinzione di sesso....  e di condizioni personali e sociali”, in cui la  locuzione “condizioni personali” vuole dire anche “omosessuali”. Ma non tutela le famiglie tra omosessuali, che pure esistono ma non ricevono alcuna tutela giuridica, a differenza della famiglia di fatto.

Il solenne riconoscimento dei diritti della famiglia, contenuto nell'articolo 29 della costituzione,  si rivolge solo alla famiglia fondata sul matrimonio. Peraltro anche la famiglia di fatto ha acquistato profili di rilevanza giuridica, che trova tutela nell'articolo 2 della Costituzione, che fa riferimento alle formazioni sociali nelle quale l'individuo esplica la proprio personalità. Per esempio alla convivente  more uxorio si riconosce il diritto al risarcimento del danno, in caso di uccisione del convivente; il diritto di subentrare nel contratto di locazione intestato all'altro convivente ( art 6 L n 392/1978). 

Il riconoscimento della famiglia come cardine della società e dello Stato venne completato dalla previsione all'art 31 della Costituzione,  dell'obbligo della Repubblica, di agevolare con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi con particolare  riguardo alle famiglie numerose. Norma che è sostanzialmente inapplicata.  Aldo Moro fece un intervento all'assemblea costituente del 6 novembre 1946  con cui non solo sollecitava  l'introduzione di un dovere dello stato di sostenere oneri  finanziari in favore delle famiglie, ma si opponeva  a coloro che volevano inserire la garanzia costituzionale della famiglia nel preambolo senza impegnare lo Stato con un programma preciso. Infatti  era necessario per Aldo Moro che “lo Stato assumesse il compito di permettere questo libero atto, tante volte ostacolato da condizioni economiche. Così come riteneva necessario fare riferimento alle famiglie numerose, specialmente se si tiene  presente che  i commissari democristiani hanno sostenuto la necessità di salari familiari.

Moro difese anche il principio che, in caso  di incapacità dei genitori, la legge provvede  a che siano assolti i loro compiti. Alla obiezione della Presidente che la norma fosse simile a quella fascista secondo cui lo Stato interferiva nella educazione  della prole, obiettò  che si tratta invece di tutelare i figli, “nei casi limite  in cui è necessario fare  riferimento ad un eventuale  intervento dello Stato per ragioni economiche e morali, come ad  esempio nel caso di famiglie che abbandonano la prole in mezzo alla strada” ( atti della costituente 7 novembre 1946)

 

Rapporti tra genitori e figli

Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire ed educare i figli , tenendo conto delle capacità naturali, delle inclinazioni e delle aspirazioni dei  figli.  Tale dovere, che riguarda non solo i figli legittimi ma anche i figli naturali cioè nati fuori del matrimonio, è sancito dall'articolo 30 della Costituzione  che afferma  testualmente “E' dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”.  Il principio in questione è affermato anche dall'art 147 cc. Da notare che secondo la dottrina e la giurisprudenza della SC, tale dovere non cessa automaticamente allorché i figli raggiungono la maggiore età ma perdura fino a quando non abbiano raggiunto una propria autonomia ed indipendenza economica.  E sempre che  lo stato di bisogno non dipenda da  una scelta del figlio  di non lavorare. Viene meno l'obbligo del  mantenimento quando  il mancato svolgimento dell'attività economica dipende da un atteggiamento di inerzia  ovvero da un rifiuto ingiustificato del lavoro, “il cui accertamento deve però essere ancorato alle aspirazioni, al percorso universitario e post universitario del soggetto ed alla situazione attuale del mercato del lavoro” (Cassazione 6 novembre 2006 n 23673).

A loro volta i figli devono rispettare i genitori e devono anche essi contribuire al mantenimento della famiglia, fin quando vi convivono, “in proporzione alle proprie sostanze ed al proprio reddito” ( art 315 cc).

Il figlio è soggetto alla “potestà dei genitori” ( art 316 cc) fino al raggiungimento della maggiore età o al matrimonio, qualora si sposi prima di diventare maggiorenne.  ( art 390 cc). La potestà deve essere esercitata dai genitori di comune accordo: in caso di contrasti, purché si tratti di questioni di particolare importanza ( ad es tipo di studi da fare seguire dai figli), ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice, il quale, sentiti i genitori ed anche il figlio se ha raggiunto  i quattordici anni, suggerisce le determinazioni più utili nell'interesse del figlio e della unità familiare. Se il contrasto rimane, il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l'interesse del figlio. ( art 316 cc )

In caso di separazione personale, annullamento del matrimonio e o di divorzio, l'esercizio della potestà è regolato secondo quanto dispongono gli artt 155 e seguenti cc. La nuova legge, approvata nel 2006, è in linea con la convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, firmata a NY il 20 novembre 1989, ratificata in Italia nel 1994, che esige che i genitori mantengano regolari rapporti con entrambi i genitori, pone come regola fondamentale l'affidamento condiviso. Infatti la legge afferma che anche in caso  di separazione, i figli hanno diritto di conservare un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere da entrambi cura, educazione ed istruzione, e di conservare i rapporti con i nonni e i parenti di ciascun ramo genitoriale. Il giudice deve avere di mira, nell'emanare i provvedimenti relativi alla prole, esclusivamente l'interesse materiale e morale della prole stessa. Il giudice può affidare il minore ad uno dei due coniugi solo quando ritenga che il rapporto con l'altro genitore sia contrario all'interesse del minore.

I rapporti relativi ai figli sono sempre modificabili.


Ferdinando Imposimato

Roma, Ottobre 2008

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venerdì 23 maggio 2008

I diritti inviolabili in una società multiculturale. La Costituzione e la Carta di Nizza del 2000.

I diritti inviolabili in una società multiculturale. La Costituzione e la Carta di Nizza del 2000

1.     Le radici della Costituzione repubblicana . Il fondamento di tutte le leggi vigenti in un determinato ordinamento è la Costituzione, che in ogni paese dovrebbe essere garante di libertà. Ma non si può accettare un concetto formalistico di legge costituzionale che sempre ed in ogni paese sia garante di libertà .La storia ci insegna che così non è. La Costituzione di Hitler e quella di Stalin, pur essendo leggi, non hanno tutelato la libertà. Ed allora dobbiamo accedere ad una concezione garantista e concreta di Costituzione. Il nesso tra libertà e legge perde così la certezza che lo ha cementato per millenni. Nulla vieta che il tiranno eserciti la sua tirannide in nome della  costituzione  e mediante ordini travestiti da leggi. 

La nostra Costituzione é democratica poichè, a differenza della Costituzione fascista, é il frutto della volontà della  stragrande maggioranza del  popolo : essa pone al primo posto , nella gerarchia dei valori , non lo Stato ma la tutela della persona umana e  il  lavoro ,  e rifiuta  qualsiasi concezione utilitaristica del lavoro come entità economica da trattare come merce di scambio .

Le sue fonti ideali si trovano nelle costituzioni dell'Antica Grecia di cui parlano  Tucidide ed Erodoto,  i primi storici a parlare di  democrazia. Noi guardiamo al passato ( anamnesi) per capire il presente ( diagnosi) e prevedere e plasmare il futuro (prognosi) ,  evitando errori nell'accettare riforme pericolose in nome della governabilità.

Erodoto, parlando dell’abbattimento della tirannide dei Magi in Persia, fa dire ad Otane, uno dei protagonisti della rivolta, chiamato a decidere su quale forma di governo darsi,: “anche il migliore degli uomini, una volta salito a tale autorità, il potere assoluto lo allontanerebbe dal suo solito modo di pensare. Dai beni presenti gli viene, infatti, l’arroganza, mentre sin dalle origini è innata in lui l’invidia. E quando ha questi due vizi, ha ogni malvagità, perché molte scelleratezze le compie perché pieno di arroganza oltre che di invidia. Eppure, un sovrano dovrebbe essere privo di invidia dal momento che possiede tutti i beni. Invece egli si comporta verso i cittadini in modo ben differente, è invidioso che i migliori siano in vita e si compiace dei cittadini peggiori ed è prontissimo ad accogliere le calunnie. Ma la cosa più sconveniente di tutte è questa, se qualcuno lo onora moderatamente, si sdegna di non essere onorato abbastanza, se invece uno lo onora molto si sdegna ritenendolo un adulatore. Il Governo popolare invece anzitutto ha il nome più bello di tutti, l’uguaglianza dinanzi alla legge, in secondo luogo niente fa di quanto fa il monarca, perché a sorte esercita le magistrature ed ha un potere soggetto a controllo e presenta tutti i decreti all’assemblea generale. Io dunque propongo di abbandonare la monarchia e di elevare il popolo al potere, perché nella massa sta ogni potenza” (Erodoto, III, 80). Erodoto era convinto che la potenza di Atene fosse legata alla democrazia cioé al potere del popolo: “Gli ateniesi cresceranno in potenza: è chiaro non da questo solo esempio, ma sotto ogni riguardo che l’uguaglianza è un bene prezioso, gli ateniesi quando erano sotto i tiranni non erano  superiori a nessuno dei vicini, mentre quando si furono liberati dai tiranni divennero di gran lunga i primi” (Erodoto,  Storie, V, 78).

2.     Tucidide, contemporaneo di Erodoto, a lungo si soffermò sui mali della guerra e della discordia civile che essa alimenta. E descrisse il trattato di pace tra Atene e Sparta: “Per cinquant’anni vi sia la pace senza inganno e senza danno, per terra e per mare tra gli ateniesi e gli alleati degli ateniesi e i Lacedemoni e gli alleati dei Lacedemoni” (Le Storie, V, 18, Tucidide). E questa pace seguì ad una lunga discussione, in cui i Lacedemoni ricordarono agli ateniesi: “Non è ragionevole che voi, fiduciosi nella potenza attuale della vostra città e di quelle che a lei si sono unite crediate che il favore della fortuna sarà sempre con voi. Gli uomini prudenti  fanno pace soprattutto quando sono in un periodo di prosperità” (Tucidide IV, par. 18 Le Storie) ( art 10 e 11 Costituzione)

3.     . La Costituzione democratica in Grecia. Tucidide diede per primo l'idea della costituzione democratica come governo della maggioranza, e del metodo della preferenza ,  su  una persona  tra le tante , in base al merito, affermando: ”Abbiamo una costituzione che non emula le leggi dei vicini, retta in modo che i diritti civili spettino non a poche persone , ma alla maggioranza, e per questo essa  é chiamata democrazia; di fronte alle leggi, per quanto riguarda gli interessi privati, a tutti spetta  un piano di parità ( la legge é uguale per tutti articolo 3 Costituzione ), mentre per  quanto riguarda la considerazione pubblica  nell'Amministrazione dello Stato,  ciascuno é preferito a seconda del suo emergere in un determinato campo, non per la provenienza da una classe sociale più che per quello che vale (art 51 costituzione). E per quanto riguarda la povertà, se uno può fare qualcosa di buono alla città, non ne é impedito dalla oscurità del suo rango sociale. “ ( Tucidide Le Storie 37) Pericle esaltò la democrazia e la civiltà di Atene, poiché egli perseguiva non l'interesse privato ma il bene comune , l'interesse generale della città. Al punto che nonostante sue scelte impopolari in politica estera,  il popolo lo rielesse poiché ”per tutto il tempo  in cui guidò la città in periodo di pace, la condusse con moderazione a così la mantenne sicura ed essa sotto il suo governo divenne grandissima”( Tucidide Le Storie  )

4.     .I principi della nostra Costituzione . Molte costituzioni non sono democratiche.  La nostra è una costituzione democratica ed antifascista . Poiché – disse Moro-  è nata dalla comune battaglia degli italiani   nella lotta di liberazione contro il fascismo,  per l'affermazione della dignità dell'uomo e del lavoratore contro ogni forma di mortificazione della sua dignità. Essa contiene i principi di garanzia che sono l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, la libertà di opinione, la libertà di associazione, la tutela della scuola pubblica, la difesa del lavoro e della sua dignità, la difesa dei diritti  inviolabili dell'uomo.  E contiene un sistema di regole,  pesi e contrappesi, con un perfetto equilibrio tra i poteri.  Senza che nessuno prevalga sugli altri.

Secondo Calamandrei la Costituzione si fonda su quattro grandi libertà, inalienabili ed indisponibili, sottratte ad ogni potere , sia allo Stato sia al mercato. Esse sono la  libertà personale, ovvero l'immunità da arresti arbitrari e da torture,   di coscienza e di pensiero , che implica il diritto di manifestare le proprie opinioni , la libertà di  riunione, che implica il diritto di protesta collettiva,  ed associazione, che permette la libera formazione di partiti e di sindacati, i principali soggetti della vita democratica.  Secondo  Piero Calamandrei,  i diritti  di libertà individuali sono precondizioni della democrazia,  mentre i diritti sociali, da riconoscere a tutti gli uomini,  sono precondizioni della libertà individuale.  Essi sono i diritti inviolabili riconosciuti dall'art 2 della Costuzione: il diritto alla vita, alla salute, al sapere,  all'ambiente , alla casa, al lavoro dignitoso, alla pace, ad un giusto processo, alla libertà, alla legalità, alla sicurezza. L'articolo 2 riconosce i diritti inviolabili ( o diritti sociali), mentre  l'art 3 li rende effettivi non solo riconoscendo l'uguaglianza di fronte alla legge , ma anche l'obbligo dello Stato di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che ,  limitando di fatto  la  libertà e l'eguaglianza dei cittadini. impediscono  il pieno sviluppo della persona umana e la piena  partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale dello Stato.

5.     Il principio di legalità. La certezza del diritto- La legge

Il principio di legalità é affermato dall'art 25 della Costituzione secondo cui  “nessuno può essere  punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. Ci può essere anche un'azione socialmente riprovevole ma se non é prevista dalla legge come reato, non é punibile. Inoltre la legge deve essere chiara e comprensibile da tutti ( principio di tassatività).  La certezza del diritto è la condizione indispensabile per garantire i cittadini contro i possibili arbitri del potere e dei giudici Laddove esiste una legislazione incomprensibile, confusa e contraddittoria, lì c’è l’abuso. L’essenza delle libertà civili consiste nel diritto di ogni uomo di rivendicare la protezione delle leggi. La libertà nelle democrazie tende a proteggere il cittadino dall’oppressione attraverso le leggi. Cicerone diceva: omnes legum servi sumus ut liberi esse possimus, siamo  tutti servi delle leggi al fine di essere uomini liberi. Il punto essenziale è sempre questo: siamo liberi quando obbediamo a leggi e non a padroni. La libertà politica è libertà nella legge e mediante leggi. Ai greci non riuscì di fissare i nomoi, le loro leggi. Nella Grecia antica il popolo faceva e disfaceva il diritto a suo piacimento, sicché il potere politico era senza limiti. Per arrivare ad un sistema giuridico che vincola il potere politico fu necessario il costituzionalismo liberale, lo stato di diritto. Kelsen notava che una democrazia «senza quella autolimitazione che rappresenta il principio della legalità si autodistrugge». Se la democrazia dei moderni ricomprende in sé le nozioni di libertà e di legalità, intesa questa come legalità costituzionale, si ha la liberal democrazia. Rousseau affermava che la libertà «è fondata dalla legge e nella legge». Nel discorso sull’Ineguaglianza osservava: «Nessuno di voi è così poco illuminato da non sapere che là dove viene meno il vigore delle leggi e l’autorità dei loro difensori, non vi può essere né sicurezza né libertà per nessun». E concludeva: «La libertà segue sempre la sorte delle leggi, essa regna e perisce con queste; nulla mi è noto con maggiore certezza».

Ma le leggi non possono essere partorite né dalle masse né da legislatori incapaci. I referendum popolari sono un modo improprio di creare e abrogare le leggi. I referendum abrogativi tendono sovente a creare nuove leggi, ma in realtà producono vuoti pericolosi che spesso non vengono colmati da leggi chiare. Rousseau si chiedeva: «Come potrà una moltitudine cieca, che spesso non sa quel che vuole perché solo di rado sa quel che per lei è bene, mettere in esecuzione da sé una impresa di tanta mole e tanto difficile come un sistema di legislazione? ». In concreto il problema, per Rousseau, poteva essere risolto legiferando il meno possibile. Egli ricordò che gli ateniesi persero la loro democrazia perché ciascuno vi proponeva leggi a sua fantasia, mentre invece è la antichità delle leggi che le rende sante e venerabili. “Lo Stato ha bisogno di ben poche leggi”. Il punto è dunque che le leggi di Rousseau sono poche, generalissime, fondamentali, antiche e pressochè immutabili. Nel contratto sociale egli invoca un legislatore – un Mosè, un Ligurco, un Numa, - e cioè un uomo straordinario nello Stato che assolve una funzione particolare e superiore che non ha niente in comune col regno umano.

Ma le leggi- dice Giovanni Sartori- non sono fatte dalla volontà generale e non sono fatte una volta per sempre, esse sono sempre da fare. Tanto più che non sempre la legge è una normativa caratterizzata da contenuti di giustizia. Per millenni si è ritenuto che la legge dovesse incorporare valori di giustizia. In realtà la legge è IUS dalla radice iubeo,comando”, il quale può non avere contenuti di giustizia.

Spesso la legge viene sciupata per quattro  aspetti, la inflazione, la loro cattiva qualità, la perdita di certezza e la perdita di generalità. Si tratta di leggi nel nome ma di non leggi nella sostanza. Davvero un orrendo pasticcio la cui prima conseguenza è una proliferazione di leggi che perciò stesso svaluta le leggi. Nel nostro sistema manca spesso la chiarezza delle leggi e la coerenza del sistema legale poiché molto spesso le leggi si sovrappongono e si contraddicono. La certezza del diritto viene meno perché il continuo mutamento dello stato delle leggi e la loro inosservanza in vista di possibili e frequenti condoni  rende i comandi poco affidabili. È il caso della concessione continua di condoni , che sono ingiusti per coloro che hanno subito la sanzione immediata rispetto a chi si è giovato di tecniche dilatorie.

Le leggi sono sempre più settoriali e parziali, favorendo alcuni e danneggiando altri. Oggi l’edificio della libertà nella legge è sostenuto dai diritti umani e cioè dalla sua conformità a quei diritti. La conseguenza di tutto questo è la ineffettività delle leggi che sono ignorate, violate e disapplicate dai cittadini.

6.     .La Costituzione e gli  stranieri. Nell’ambito  degli extracomunitari, ci sono centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori extracomunitari che vivono  e lavorano in Italia, ma non non godono dei diritti sociali   garantiti dalla Costituzione solo ai cittadini italiani.   Extracomunitari che lavorano e non sono dediti al delitto,  che  danno ricchezza all’Italia, ma non possono lavorare da regolari e non possono vivere una vita decente , dignitosa. La  causa di questo  disagio è una discutibile legge del 1998 (varata dal governo  di centro sinistra), ma soprattutto la sua  applicazione da parte  del Ministero del Lavoro; secondo cui si può lavorare da regolari solo se si viene invitati  dal datore di lavoro mentre si è nel proprio Paese di origine. Ciò significa che un datore di lavoro dovrebbe  assumere una persona sconosciuta senza conoscerne le capacità lavorative. Ciò è fuori dal mondo!Questo non avviene per cui l’extracomunitario è costretto ad entrare in Italia da clandestino ed essere assunto “a nero”.Questa realtà  provoca un sottobosco di illegalità  di cui sono vittime gli extracomunitari clandestini, esposti ad ogni abuso, soprattutto dai datori di lavoro.  Molti sono anche vittime di morti bianche per l'assoluta mancanza di rispetto delle norme sulla sicurezza sul posto di lavoro;  e di  gravi ed irreparabili errori  giudiziari, più frequenti nei confronti degli extracomunitari per l'assoluta mancanza di ogni difesa da ogni forma di delitto che viene loro attribuito solo per la loro razza.

7.     . La interpretazione rigorosa della Costituzione.  Purtroppo  una parte della magistratura penale, come ha rilevato Magistratura Democratica,  é   rigorosa nell'applicare una legislazione in materia di stranieri  che é  in contrasto con i diritti inviolabili dell'uomo garantiti da convenzioni internazionali.

La discriminazione degli stranieri anche regolari é  consentita da una interpretazione restrittiva della Costituzione repubblicana. Che tutela alcuni dei diritti inviolabili solo con riferimento ai cittadini italiani. Mentre l'articolo 2 stabilisce che “ la Repubblica  riconosce e garantisce  i diritti inviolabili dell'uomo e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica economica e sociale”, subito dopo, l'art 3,  limita il riconoscimento e la tutela ai cittadini che “ hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. E di seguito riconosce ai cittadini il diritto al lavoro ( art 4)  , il diritto di circolare  liberamente in ogni parte del territorio nazionale ( art 16), di riunirsi pacificamente ( art 17), di associarsi ( art 18).  Eppure si tratta di materie che riguardano  diritti già riconosciuti dallo ius gentium: il diritto di sfuggire alla fame , alle guerre, alle dittature.

 

 

8.     . Le convenzioni internazionali. Questa tendenza a limitare i diritti ai cittadini si pone in contrasto con la dichiarazione dei diritti dell'uomo proclamata dall'ONU in NY il 10 dicembre 1948 , laddove si afferma  ( art 1) che “ tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità a diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza “, e  che ( art 2) “ ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente dichiarazione, senza distinzione di razza , di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione”; e che ( art 3) “ ogni diritto alla  vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona”; e che ( art 7) “ tutti sono uguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza  alcuna discriminazione, ad una  uguale tutela  da parte della legge” così come “ art 8) “ ogni individuo ha diritto ad un'effettiva possibilità di ricorso a competenti tribunali nazionali contro atti che violino i diritti fondamentali a lui riconosciuti dalla costituzione o dalla legge”; ; e ( art 9) “ nessun individuo potrà essere arbitrariamente  arrestato, detenuto od esiliato” ;  ( art  13)  “ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento entro i confini di ogni Stato; ed ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese”: (art 15) “ ogni individuo ha diritto  ad una cittadinanza” nessun individuo potrà essere privato del diritto di mutare cittadinanza”; ed infine ( art18) “ ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero”  , ( art19) “ di opinione”; ( art 20) “ di riunione ed associazione  pacifica”; e art21); “ ogni individuo ha diritto di partecipare la governo del proprio paese , sia direttamente sia attraverso rappresentanti liberamente scelti”; (art 23) “ ogni individuo ha diritto al lavoro, e a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione”; ad uguale retribuzione per uguale lavoro” (art 26) “all'istruzione”; ( art 27) “ di partecipare alla vita culturale della  comunità”.

9.     Con molto ritardo,  l'Europa ha riconosciuto questi diritti fondamentali nella “ carta dei diritti dell'Unione Europea”, approvata dal parlamento europeo il 14 novembre del 2000. Nel bill of rights europeo  vi é un ampio ventaglio di nuovi diritti  sconosciuti dalle principali costituzioni nazionali o limitati ai cittadini dei singoli paesi, con una discriminazione inaccettabile. La Carta di Nizza   garantisce la protezione di nuovi diritti raggruppati attorno ai valori fondamentali della dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, giustizia e cittadinanza, attorno ai quali si realizza la  ricomposizione dei beni primari che integrano la dignità di ogni individuo e così un modello di costituzionalizzazione della persona, capace di offrire una traccia garantista unitaria e imprescindibile per l'attività giudiziaria all'interno dell'Unione .

10. Non c'é dubbio sulla efficacia vincolante della “Carta” come “elenco espressivo delle tradizioni costituzionali comuni” che  ha avuto in questi otto anni grandi riscontri  sia dalla nostra Corte Costituzionale  che dalla Corte dei diritti umani sino alla storica sentenza del 27 giugno 2006 della Corte di Giustizia della Comunità europea che finalmente ha citato la Carta di Nizza e l'ha applicata come parametro di legittimità di una direttiva europea. Basta ricordare che l'articolo 10 della Costituzione italiana  stabilisce che l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”. E tra queste sono certamente  la dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo dell'ONU del 10 dicembre 1948 e  la Carta di Nizza  del 14 novembre del 2000.

Tuttavia sono in ogni caso evidenti i riflussi dovuti ad una legislazione nazionale  che si annuncia in contrasto con i diritti umani sanciti dalla Carta di Nizza e dalla Dichiarazione Universale del 1948 . E bene ha fatto MD a richiamare l'attenzione dei magistrati ordinari circa la loro qualifica di “organi” dell'Unione, premessa di un forte impegno della magistratura italiana a essere convinto attore preposto alla applicazione della carta dei diritti fondamentali del 14 novembre del 2000, anche in contrasto con la legislazione nazionale che non sia ad essa uniforme;  fermo restando il dovere di un impegno senza quartiere di rispetto della legalità internazionale e di  lotta al terrorismo ed al crimine organizzato locale e transnazionale,  specie in difesa dei bambini e delle donne.

11.  L'articolo 11 della Costituzione  é proiettato verso il futuro. Esso stabilisce che “l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Consente , in condizioni di  parità con gli altri Stati , alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni ; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

Il perseguimento della pace non significa però il venir meno del dovere  sacro di difendere la Patria che  riguarda tutti i cittadini. Secondo l'art 52 “la difesa della patria é sacro dovere del  cittadino. Il servizio militare é obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino né l'esercizio dei diritti politici”.

12.  Il governo mondiale. Si tratta di una visione lungimirante del rapporto tra gli Stati, con uno sguardo verso nuove organizzazioni  internazionali in vista della pace e dello sviluppo tra i popoli. Il rischio di una guerra mondiale nucleare è crescente, con il crescere delle potenze dotate di  armi atomiche: tra queste Iran e Siria.  Non si può  disconoscere  alle Nazioni Unite il ruolo di garante della convivenza pacifica e della legalità internazionale.  L’Europa potrebbe svolgere un ruolo decisivo in questa fase. Che gli Stati Uniti pensino, da soli, di vincere ogni forma di guerra, quella convenzionale e quella contro il terrorismo è pura follia.

 “Esiste una sola via di uscita”, scrisse  Albert Einstein  sessanta anni fa: “la creazione di una  organizzazione  soprannazionale sostenuta da una forza militare  posta sotto il  suo  esclusivo controllo , che possa impedire allo stato individuale di muovere guerra”. “Solo quando queste condizioni saranno soddisfatte” , aggiunse,  “potremo avere qualche garanzia di non doverci dissolvere nell’atmosfera, dissolti in atomi”. Einstein  sosteneva  che la realizzazione di una organizzazione internazionale di tal genere non poteva attendere il lento evolversi di un graduale processo storico. “L’obiettivo è di trasformare le Nazioni Unite in un Governo mondiale dotato di una  capacità militare. Fino a quel momento, vi è il rischio crescente che i paesi dotati di armi nucleari  facciano ricorso alla guerra preventiva”. “ Più della volontà di potenza – disse Einstein- sarà la paura di un attacco improvviso a costituire una spinta verso la guerra preventiva ( vedi Iran). La sola via è quella di sottrarre ai singoli Stati la facoltà di utilizzare la propria forza militare, trasferendo tale potere ad un’autorità soprannazionale, costruita attraverso un riassetto delle Nazioni Unite. Riconoscendo che il Consiglio di sicurezza non rappresenta più l’assemblea generale. E’ arrivato il momento di un adeguamento delle NU alla nuova realtà internazionale, messa in grado di risolvere i conflitti internazionali, contrastando la guerra preventiva decisa dai singoli Stati. La strada da percorrere è  quella di  riscrivere le regole , rispecchiando “ le responsabilità internazionali dei membri “, modificando in modo radicale il metodo delle rappresentanze alle NU. Per raggiungere questo obiettivo,  Sergio Romano propone alcuni parametri  per  stabilire la nuova rappresentanza che sono: il “ peso demografico dei vari paesi, il prodotto interno lordo, l’impegno assistenziale verso i paesi poveri, il livello culturale e scientifico e la quota di partecipazione al commercio internazionale”.  Più giusta appare la proposta  di Albert Einstein. I popoli del mondo devono  sentirsi rappresentati in modo giusto e proporzionale. La soluzione è che  i rappresentanti siano eletti direttamente dal popolo, divenendo responsabili di fronte all’elettorato.  La centralità delle NU deve risiedere in questa fase di transizione non nel Consiglio di Sicurezza ma  nell’Assemblea Generale, che dovrebbe restare riunita in permanenza per tutto il periodo critico della transizione. Se costantemente impegnata al lavoro, essa potrebbe intraprendere rapidi ed efficaci passi in tutte quelle aree esposte al pericolo per la pace. L’Assemblea non dovrebbe delegare i propri poteri al Consiglio di sicurezza, specie  finché l’attività del Consiglio resta paralizzata dai provvedimenti di veto. Come solo organismo competente ad assumere l’iniziativa con audacia e risolutezza, le NU dovrebbero adoperarsi fin da subito per creare le condizioni necessarie per la sicurezza internazionale, gettando le fondamenta di un reale governo mondiale..

 

13.  La costituzione secondo Moro. “La nuova Costituzione contiene nella sua struttura un pericolo abbastanza grave- disse Aldo Moro-. Essa , infatti, allinea nei suoi articoli, sullo stesso piano giuridico, cioé con uguale formalità e legalità, principi inerenti alla natura e dignità della persona umana – i cd detti diritti inviolabili-  e norme costitutive di una ben individuata organizzazione politica. Nella prima serie non si ha propriamente Costituzione, ma riconoscimento dei principi fondamentali della socialità, sui quali non solo questa nostra Costituzione ma molte altre  potrebbero essere costruite. Proprio questi sono i principi  che non dovrebbero mai essere oggetto di revisione costituzionale perché alterarli significherebbe  condannarsi al ridicolo, al disordine, alla tragedia. Ora può avvenire che individui o gruppi, avversando in tutto o in parte le norme essenzialmente politiche della seconda parte, che rappresentano una soluzione , ma non l'unica possibile,  del problema politico, fossero indotti ad avversare tutta la Costituzione in blocco, compresi quei  principi di altra natura che vi sono inseriti”. “E perciò è necessario che tutti gli uomini di buona volontà siano concordi nella difesa di quei principi fondamentalmente umani e cerchino di trascriverli, prima che sulla carta, sulla viva pagina dei cuori” ( Aldo Moro scritti e discorsi 1940 1948 ed Cinque Lune). Il pericolo prospettato   si   profilò proprio nei termini in cui lo paventò Moro. E questo perché  la riforma del centro destra  non solo modificava  l'organizzazione politica dello Stato, ma  intaccava   i principi  fondamentali  della prima parte  che secondo Aldo Moro,  Piero Calamandrei  e Giuseppe Dossetti  sono  immodificabili.  

 

14.  Le riforme. Diciamo subito  che il progetto di presidenzialismo o premierato, che sembra riemergere,  va contro la democrazia parlamentare. La storia ci  insegna che i poteri straordinari  nelle mani di una sola persona sono pericolosi.  Ne farebbero una specie di monarca assoluto. In passato  il passaggio dalla democrazia  al  fascismo avvenne con  una nuova Costituzione, la cd Costituzione fascista,  che conferiva  al primo ministro poteri eccezionali,  con una legge elettorale impersonale, la legge Acerbo, che eliminava il voto di preferenza.  

 Con la riforma  bocciata dal referendum  si introduceva di fatto una repubblica presidenziale con  l’elezione diretta del Primo Ministro  con il rischio di involuzioni autoritarie. La legittimazione del premier deriverà  non più dal parlamento ma dagli elettori i quali votano  il primo ministro collegato  con i candidati o con  una o più liste di candidati.  Viene in tal modo  cancellata la forma di governo parlamentare  che fu una solenne scelta dell’Assemblea Costituente.  Anzitutto una notazione  terminologica. Il nome di Primo Ministro venne introdotto nel nostro ordinamento con  la legge 24 dicembre 1925 n2263, che fu considerata uno  dei pilastri della cosiddetta Costituzione fascista.

In realtà la riforma  prevedeva  di fatto una forma di premierato assoluto. Il premier ( e non il governo)  determina la politica , può nominare e revocare i ministri e sciogliere il Parlamento.  senza che il Presidente della Repubblica possa  minimamente interferire.   Egli  avrà il potere di gestire una sua maggioranza in Parlamento, senza necessità di investiture istituzionali o di fiducia.  Dopo la nomina formale da parte del Presidente della Repubblica,  il Primo Ministro si presenta  alla Camera soltanto per illustrare il suo programma. D'altra parte sarà sufficiente al Primo Ministro mantenere il sostegno di un piccolissimo numero  di deputati della sua maggioranza per impedire la formazione di una nuova maggioranza. Anche quando la maggior parte degli appartenenti alla maggioranza iniziale si sia dimostrata favorevole al cambiamento del premier. E ciò perché era esclusa a priori qualsiasi incidenza  del voto dei deputati appartenenti alla minoranza e dei deputati dissidenti. Si creava, così, una  relazione di autentica dipendenza della Camera dei deputati dal Primo Ministro. Che poteva porre ad nutum la questione di fiducia, con il meccanismo perverso che la camera era automaticamente sciolta nel caso in cui la mozione è respinta.  Il primo ministro aveva un potere enorme,  superiore  persino  a quello  conferito  al  Presidente degli Stati Uniti, che non può incidere sui poteri spettanti  al congresso.  E sarebbe stato  più forte  verso l’ opposizione, che è  parte integrante della sovranità popolare.     In tal modo il Parlamento nazionale, che legifera su diritti e libertà fondamentali dei cittadini, sul lavoro, sulla indipendenza dei magistrati, sul pluralismo della informazione, sui sistemi elettorali  e sui conflitti di interesse, perdeva la sua centralità e la sua libertà perché  condizionato dal perverso congegno che univa   voto bloccato e questione di fiducia posta dal primo ministro.

15.  Il presidenzialismo negli USA Quanto all'aumento dei poteri del primo ministro, dobbiamo ricordare ciò che accade negli Stati Uniti, paese di democrazia collaudata.  Negli Stati Uniti, chi decide la guerra? Il congresso? O il Presidente? E se GW Bush decide di attaccare un paese, e contro di esso l'uso di armi atomiche, il congresso degli Stati Uniti può bloccare l'ordine di GW Bush? E le Nazioni Unite che potere hanno? La risposta è che a decidere su queste questioni vitali è sempre e solo GW Bush. La Costituzione  americana conferisce al Presidente , secondo la Corte Suprema, il potere di “comandante in capo delle Forze Armate”. Ed il congresso non può bloccare la decisione. Ciò dimostra la pericolosità del presidenzialismo.

16.  Il federalismo. La riforma di tipo federale mette in pericolo l'unità e l'indivisibilità della  Repubblica sancita dall'articolo 5 della Costituzione.  Già la improvvida riforma del titolo V della Costituzione  sotto la guida di Giuliano Amato  diede luogo ad un sovraccarico di conflittualità fra i diversi livelli istituzionali aprendo la  strada al  federalismo voluto dalla lega.  Che stravolge l'equilibrio  dei poteri e  indebolisce il nostro paese nella realtà europea ed  internazionale. Ed aumenta notevolmente il costo della politica. In realtà il federalismo tende non a realizzare un miglior governo del paese, ma a proteggere gli interessi particolari della Lega contro quelli dei cittadini delle regioni più povere e contro gli stranieri. Ed intacca settori fondamentali della vita dei cittadini quali la scuola, la sanità e la sicurezza.  La scuola non sarà il luogo del confronto pluralistico di giovani di diverse  culture, etnie e  religioni  ma  quello in cui la formazione dei  giovani si  frantumerà  nelle varie regioni a seconda delle diversità ideologiche, religiose ed etniche. Con il vanificarsi della speranza di costruire una comune cittadinanza democratica secondo i principi di solidarietà e di tolleranza.Nella sanità saranno avvantaggiate le regioni più ricche di fronte alle regioni più povere, meno garantite rispetto ad un bene primario quale è il diritto alla salute. Ciò vulnera  l'idea unitaria dello Stato pensata da Aldo  Moro e Piero Calamandrei quale  “forma fondamentale di solidarietà umana”. E lede il principio immodificabile  (articolo 2) secondo il quale “ è compito della Repubblica  adempiere ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Il federalismo nella sanità infatti intaccherà il diritto alla salute   dei cittadini delle regioni povere, che è inviolabile.

Preoccupa il Senato federale della Repubblica per il predominio della  composizione regionale e per la vasta competenza  che ad esso  rimane anche sui  provvedimenti  provenienti   dalla Camera dei Deputati , la cui  rappresentanza è invece a carattere nazionale. Un istituto ibrido , incomprensibile in più punti.  A parte il potere di eleggere 4 membri della Corte Costituzionale, al Senato spetta un groviglio di competenze , tra cui un potere di veto   sugli stessi principi  fondamentali concernenti le materie di competenza concorrente tra Stato e Regioni. Nonostante l'attribuzione di Camera politica che si vuol  dare alla sola Camera dei deputati.

 


Ferdinando Imposimato

Roma, Maggio 2008

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giovedì 10 aprile 2008

Il candidato e' "Cosa nostra" ?

Il candidato e' "Cosa nostra" ?

di Ferdinando Imposimato
(Articolo pubblicato su La Voce delle Voci - Aprile 2008)

Giovanni Sartori, politologo, e Roberto Saviano, scrittore, denunziano il silenzio di PD e PDL sulla economia mafiosa. Nonostante - dice Sartori - Cosa Nostra sia «la piu' grossa azienda del paese, con un fatturato dell'ordine di 90 miliardi (di euro, nda) all'anno, tutti in nero». Si tratta di centottantamila miliardi di lire annui: una cifra enorme esentasse. E che inquina tutta l'economia del paese. Eppure, ne' Romano Prodi ne' Silvio Berlusconi hanno mai cercato di recuperare soldi nel colossale patrimonio mafioso. Perche'? La risposta di Sartori e' sconvolgente: «Il voto criminale condiziona e inquina la politica di tutto il paese. Nel 2001 Berlusconi vinse in Sicilia tutti i collegi: 61 su 61. La vittoria fu dovuta al sostegno mafioso». In altre parole, per Sartori e Saviano il voto della mafia fa gola sia a destra (e questo si sapeva) che al PD, il quale somiglia sempre piu' alla vecchia Democrazia cristiana. Questo - duole dirlo - l'avevamo scritto e ripetuto molti anni fa, parlando del concorso fra cooperative rosse ed imprese del centro destra nella spartizione degli appalti. Oggi Walter Veltroni invita pubblicamente i mafiosi a non votare per il PD. Ma le mafie hanno gia' fatto la loro scelta: Berlusconi, probabile vincitore delle prossime elezioni. Il Cavaliere sa di poter contare sui voti mafiosi in Sicilia e in tutto il Sud, rilanciando il Ponte sullo stretto di Messina. Per il Ponte a vincere la gara e' stata l'Impregilo, ex Cogefar Impresit, vecchia conoscenza dell'Antimafia per avere vinto - con gare truccate o senza gara - molti appalti di lavori autostradali, subappaltati a Cosa Nostra. Le denunzie di allora non servirono a nulla. Chi punto' l'indice su quegli accordi fu sconfitto e Cosa Nostra rientro' alla grande. Guardiamo allora a quel che sta accadendo oggi nel settore delle opere pubbliche.

ASFALTO D'ONORE

Cominciamo dalle autostrade. Sulla A3 Salerno Reggio Calabria si ripete il rituale di sempre: la commissione parlamentare antimafia dice «la ‘ndrangheta controlla ogni tratta dell'autostrada del sole». L'onorevole Francesco Forgione di Rifondazione indica, nella relazione conclusiva, i singoli gruppi che controllano tutti i lavori: non si tratta di “taglieggiamento”, di “violenza” contro lo Stato e le imprese, ma di spartizione del denaro pubblico sulla base di patti scellerati tra imprese pubbliche, private e crimine organizzato, con la benedizione dello Stato. La torta e' immensa; le cosche sono quelle di sempre, con qualche neofita: le famiglie Alvaro Tripodi, Piromalli, Pesce, Mancuso, Iannarazzo, Muto Perna Rua, Farao-Marincola di Ciro' e Forastefano di Cassano allo Ionio, che controllano i lotti di tutta l'A3. Ancora una volta, nonostante la buona volonta' del suo presidente, il lavoro della commissioneappare inutile. Ottima diagnosi, ma nessuna terapia. I clan continuano a succhiare immense risorse ai contribuenti, mentre lo Stato non fa niente per porvi rimedio. Salvo sparuti arresti di qualche mafioso: i miliardi di euro restano a mafiosi, politici e imprese corrotte, inquinando la democrazia. Il meccanismo di appropriazione del danaro pubblico, spiega Forgione, e' semplice: «Le gare sono monopolio della ‘ndrangheta. I cantieri sono permanentemente aperti, gli appalti non si chiudono mai; un'opera interminabile che vive nell'eterno aggiornamento delle tariffe». Come sempre, non c'e' coartazione delle imprese concessionarie, ma pieno accordo; le imprese sono complici e non vittime, come la Calcestruzzi. E ricevono enormi benefici economici, senza rischiare niente e senza dare lavoro ad un solo operaio. Le concessionarie nel 100 per cento dei casi prendono cospicue anticipazioni dell'intero importo, spesso misterioso, e subappaltano i lavori ad imprese criminali: i conflitti per i salari sono neutralizzati e i costi per la sicurezza dei lavoratori eliminati. Le funzioni di capo area e direttore dei lavori vengono affidate, con il consenso scellerato delle imprese, a manutengoli delle cosche che impongono la pace sindacale. Con l'assunzione di lavoratori in nero sottopagati che non possono protestare. Ed e' desolante constatare che alcuni sindacalisti si pongono al servizio della ‘ndrangheta: nella relazione di Forgione si dice che un «quadro della Fillea Cgil e' stato arrestato per avere favorito l'assunzione di lavoratori del luogo garantendo che sui cantieri di lavoro non vi fossero lotte o problemi sindacali». Le morti bianche sono oscurate e silenziate: come ha scritto Dino Martirano sul Corriere della sera magazine del 13 marzo 2008, «ben seimila milioni di euro sono l'immensa torta che la politica corrotta e la criminalita' si spartiscono per un appalto di manutenzione straordinaria per cantieri estesi su un tracciato di 440 chilometri della Salerno Reggio Calabria». Di questi fenomeni criminali nessuno parla, neppure il PD; e non si rimuove il meccanismo scellerato che tanto danno provoca alla collettivita', per la scarsa qualita' delle opere pubbliche mai finite, il potenziamento della criminalita' organizzata, la concorrenza sleale alle imprese sane, la fine della speranza per i professionisti onesti, la distruzione dei diritti dei lavoratori, il massacro dell'ambiente e l'inquinamento della politica. Cosa fanno PD e Italia dei Valori per porre fine a questa vergogna che offende la dignita' dei lavoratori, impedisce il recupero di risorse fondamentali per la giusta retribuzione salariale e incrementa a dismisura i costi per le grandi infrastrutture? Sperano di sottrarre voti mafiosi a Silvio Berlusconi? Quest'ultimo, del resto, non fa neanche mistero delle sue “relazioni pericolose”, tanto da esaltare come persona rispettabile un mafioso del calibro di Vittorio Mangano, il potente capo della famiglia di Porta Nuova; e da avallare una legge che vanifica la confisca dei beni mafiosi. E non e' tollerabile che il leader del partito democratico su questo punto taccia: «il silenzio uccide come il delitto», dice don Luigi Ciotti.

MAFIE AD ALTA VELOCITA'

Lo stesso livello di corruzione e di infiltrazione criminale, con uno sperpero infinito delle risorse pubbliche, riguarda l'Alta Velocita': a nulla sono servite le denunzie fatte da chi scrive, dieci anni fa, nella commissione antimafia della XII legislatura. L'Autorita' di vigilanza sui contratti pubblici, nel gennaio 2008, ha dichiarato che l'Alta Velocita' ha subito incrementi di prezzo notevolissimi e «non giustificati», nell'indifferenza generale. Dovuti a «carenze di progetto, alle varianti in corso di opera, e a rapporti privilegiati in favore del general contractor e a danno delle Ferrovie dello Stato». Il grande imbroglio si sta consumando - secondo l'autorita' di vigilanza - nelle tratte Roma Napoli e Firenze Bologna. La prima e' passata dagli iniziali 2095 milioni di euro ai 4.463 dell'ultima previsione (ottobre 2007). Sulla Bologna Firenze l'incremento e' stato piu' consistente: da 1.053 a 4.189 euro, oltre a riserve per altri 700 milioni. L'Autorita' rileva che pure avendo la possibilita' di sciogliere il contratto per essere stata prevista un'opera sostanzialmente diversa, la Tav non ha mai esercitato la facolta' di recesso. Dulcis in fundo, la lunga serie di aumenti di prezzi dovuti alla lunga serie di appaltatori e subappaltatori: con la solita spartizione del danaro tra il general contractor, che non muove un dito, e l'impresa esecutrice. Questo meccanismo si poteva distruggere con una legge ad hoc che avesse previsto controlli ferrei sulle imprese prima - e non dopo - l'inizio dei lavori ed il blocco della cascata di subappalti; invece e' stato perfezionato e reso ancor piu' nefasto a causa della scarsa qualita' delle opere costruite (autostrade eternamente con lavori in corso), dei gravi incidenti sul lavoro, e delle spese enormi che gravano sulle risorse pubbliche. E come in passato, e' emerso che le convenzioni fra Tav e imprese sono state fatte tutte a favore del general contractor e contro gli interessi delle Ferrovie. Al contrario, gli accordi avrebbero dovuto accollare alle imprese «qualsiasi conseguenza legata a imprevisti geologici, geotecnici e idrogeologici». Di qui la valanga di varianti in corso d'opera a carico della Tav. Il bottino di questo immondo imbroglio e' diviso fra Tav e imprese criminali, con la partecipazione di politici e affaristi. Ma a rischiare e' solo il ministero del Tesoro (e cioe' i cittadini italiani). Nella tratta Roma Napoli «all'impresa esecutrice - nota l'Autority - sono stati corrisposti circa dieci miliardi di lire per km, contro un corrispettivo al general contractor di 22 milioni di euro» per chilometro di Tav. E cioe' il general contractor ha percepito 44 miliardi di lire senza muovere un dito, senza dare lavoro a nessuno e solo a titolo di mediazione. In realta', ancora una volta si tratta di tangenti mimetizzate, che si ripetono all'infinito anche con richiesta di pagamento di progetti privi di copertura finanziaria. Intanto l'Anas, l'ente nazionale per le autostrade divenuto spa nel 2002, che fa? Risulta contemporaneamente “arbitro e giocatore”, controllore e controllato. Cominciando dal Piemonte, dove gioca lo stesso ruolo di concedente e concessionario, partecipando alla gara in project financing per il nuovo tratto Asti Cuneo, vinta da Marcellino Gavio, a cui si associera' l'Anas. Personaggio inquietante, Gavio. Il ministro dei Lavori Pubblici Gianni Prandini negli anni novanta gli assegno' appalti per lavori pubblici dell'entita' complessiva di circa mille miliardi di lire, in particolare per la costruzione dell'Autostrada Milano-Serravalle. Nel 1992 il suo amministratore delegato Bruno Binasco e' stato imputato in processi per corruzione: fu poi condannato con Primo Greganti per finanziamento illecito ai partiti, nell'ambito dei processi di Mani Pulite. Il 18 agosto 1992 fu spiccato a carico dello stesso Gavio un mandato di cattura, per presunte tangenti a Gianstefano Frigerio, segretario regionale Dc in Lombardia, riguardo all'appalto per l'allargamento della Milano-Genova. Gavio si rifugio' a Montecarlo fino al settembre '93, quando decise di presentarsi ai giudici di Milano, che lo assolsero dai reati, nel frattempo prescritti. Dal febbraio 2007 possiede una fetta dell'azionariato di Impregilo, la piu' grande societa' di costruzioni e ingegneria italiana, in precedenza controllata da Gemina della famiglia Romiti. Il fraudolento meccanismo di sperpero di decine di miliardi di euro si ripetera' probabilmente anche nei lavori per la costruzione del Ponte sullo stretto di Messina, dove compaiono societa' del Nord mie vecchie conoscenze. Ma queste cose le conosce Veltroni, che sostiene la necessita' delle opere pubbliche, senza pero' spendere una parola sui fenomeni criminali connessi denunziati inutilmente dalla Commissione Antimafia, dall'Autorita' per i contratti pubblici e dalla Corte dei Conti? Ma come pensano Veltroni e Di Pietro, ministro delle infrastrutture uscente, di risolvere i problemi dei salari dei lavoratori se non mettono riparo a questa emorragia di miliardi di euro in danno delle finanze pubbliche? Come possiamo credere che essi vogliono l'Alta Velocita' ed il Ponte sullo stretto di Messina per incrementare lo sviluppo, quando e' sicuro che incrementeranno corruzione e crimine organizzato, e che, per avere capito queste cose, Falcone e Borsellino furono uccisi? Che di questo taccia il Cavaliere e' comprensibile: egli ha sponsorizzato il Ponte e l'Alta Velocita' e puo' contare sui voti di Cosa Nostra. Che non ne parli Veltroni e' allarmante. Ci sara' mai un governo degno di questo nome che riuscira' a porre fine a tanta vergogna?

Ferdinando Imposimato

05 Aprile 2008


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Il voto e la questione morale

Il voto e la questione morale

di Ferdinando Imposimato
(Articolo pubblicato su La Voce delle Voci - Marzo 2008)

Walter Veltroni ha cominciato male la sua battaglia scegliendo come candidati persone senza alcun merito, come Matteo Colaninno che, quale presidente dei giovani industriali, si oppone all'assunzione dei precari dopo 36 mesi. E' figlio di quel Roberto Colaninno che con Emilio Gnutti acquisto' Telecom creando alla societa' un grosso debito che non riusci' a risanare; nel 2001 Colaninno vendette Telecom a Pirelli provocando una notevole plusvalenza nelle casse di Bell, che fu indagata per evasione fiscale e pago' una multa di 156 milioni di euro alle agenzie delle entrate. Generico e molto simile a quello di Silvio Berlusconi il programma di Veltroni e dei suoi. I punti principali vanno dalle infrastrutture alla tutela dell'ambiente, dall'attenzione ai giovani alla sconsiderata promessa di creare 100 campus universitari entro il 2010, dal lavoro femminile al problema della casa per i meno abbienti, dal salario minimo di 1000 euro per i precari alla stabilita' del lavoro. Ma questo non basta: la priorita' per il centrosinistra dovrebbe essere di assicurare ai lavoratori salari dignitosi tali da fare fronte all'inflazione crescente, ed ai disoccupati «mezzi adeguati alle loro esigenze di vita» (articolo 38 della Costituzione). Il rialzo del 4,8% del prezzo dei beni di prima necessita' va a gravare in termini drammatici su quei nuclei familiari che devono far quadrare i loro conti con salari e stipendi di poco superiori ai mille euro mensili. Ma Veltroni non affronta concretamente il problema del lavoro, e pensa anzi di potere conciliare gli interessi del capitale con quelli del lavoro.


IL NODO LEGGE ELETTORALE

Nel programma del Partito Democratico mancano inoltre due punti cruciali: il conflitto di interessi e la legge elettorale. Cominciamo dalla legge partorita dal centro destra: e' una vera e propria truffa, che lede la Costituzione e la convenzione europea. Tra i diritti inviolabili dell'uomo rientra il diritto di voto che deve essere “personale, uguale e libero” (articolo 48 della Costituzione). Ma come si puo' chiedere al cittadino italiano una scelta politica personale, uguale e libera, con una legge elettorale che, escludendo la preferenza, lo esautora del proprio diritto di voto trasferendolo nella volonta' delle segreterie di partito? Il voto non e' libero: non consente la scelta dei candidati ma e' vincolato alle decisioni dei partiti, associazioni senza regole guidate da pochi oligarchi. E non e' uguale: i gerarchi delle segreterie scelgono i rappresentanti del popolo indipendentemente dalla qualita' e dal valore. In Italia la democrazia e' di tipo elettivo, vale a dire che che la pubblica opinione si esprime eleggendo i rappresentanti in Parlamento. Quando votiamo per eleggere, non decidiamo singole questioni di governo. Il vero potere dell'elettorato e' nello scegliere chi lo rappresenta e, attraverso lui, chi lo governa (Giovanni Sartori, “Democrazia”). Qualunque sia l'opinione dei politologi sul voto, e' del tutto evidente che la preferenza e' l'essenza stessa della democrazia elettorale. Una cosa e' scegliere Tizio che e' un pregiudicato o un proprietario di concessioni governative in conflitto d'interessi con il bene comune, uno che persegue il suo interesse privato uccidendo la democrazia, altra cosa e' scegliere Caio che invece persegue l'interesse pubblico. Eleggere viene da eligere, che esprime l'idea non di scegliere a caso, ma di scegliere selezionando attraverso il voto di preferenza. L'elezione coincide con la selezione, il cui scopo finale e' il buon governo. Dal che risulta essenziale che i cittadini possano scegliere la parte piu' valente in una molteplicita' di candidati; non dimenticando che in politica a proporsi come candidati al governo non sono sempre i migliori ma i piu' spregiudicati e ambiziosi, interessati solo a fare il loro tornaconto personale. Se si elimina la preferenza, si abbandona il criterio del merito e del valore posto a base della Costituzione, e della par condicio tra i candidati.


DOSSIER CORRUZIONE

L'Italia vive un'emergenza morale che investe tutti i settori della vita pubblica e dilaga anche in Europa. Ma Veltroni sembra ignorarlo e parla di “uso migliore delle risorse di Bruxelles”. In realta' finora le risorse comunitarie sono servite soprattutto a finanziare crimine organizzato, politici e burocrati corrotti e imprenditori al soldo della mafia. Basta leggere le relazioni della Corte dei Conti e della Direzione Nazionale Antimafia per rendersene conto; e concludere malinconicamente che in Unione Europea vi e' molta tolleranza verso il malaffare, la corruzione e l'infiltrazione mafiosa nel finanziamento di progetti; le frodi comunitarie dilagano e gli scandali ricorrenti vengono insabbiati. La Corte dei Conti ha denunciato, nel febbraio 2008, «il numero sempre piu' elevato di frodi comunitarie e di illecita fruizione di contributi», con l'avvio di numerose istruttorie da parte della Procura Generale della Corte. Le violazioni di diritto comunitario commesse dalle Amministrazioni pubbliche italiane (Regioni, Provincie e Comuni) gia' accertate dalla Corte di Giustizia della Comunita' Europea, che ha comportato gravi sanzioni pecuniarie per milioni di euro a carico dello Stato italiano, hanno portato per il solo anno 2006 a ben 13 sentenze di condanna, dato che colloca il nostro Paese al secondo posto nella graduatoria negativa degli Stati membri evidenziata dalla Corte di Giustizia. Al primo posto, con 19 sentenze di condanna, e' il Lussemburgo. Lo stesso numero di condanne (13) sono state pronunciate dalla Corte di Giustizia, nei primi mesi del 2007, nei confronti dell'Italia, per violazioni di vario genere, molte delle quali legate alla mancata applicazione delle normative europee in materia di rifiuti: i finanziamenti comunitari sono stati sperperati dalle Regioni senza che sia stato risolto il problema; e sara' lo Stato a pagare i danni, a rimetterci saranno i cittadini. Il Procuratore Generale denunzia che le «ripetute violazioni di regole comunitarie da parte del nostro Paese sono segnale che merita la piu' attenta considerazione ed una assunzione precisa di responsabilita' per i notevoli danni, patrimoniali e non, che vengono arrecati all'intera collettivita' nazionale». Vediamo qualche caso. Vi e' un processo per illecita percezione di contributi comunitari con un danno di 31.281.000 di euro in favore di privati beneficiari non aventi diritto (relazione del procuratore regionale Luigi Mario Ribaudo del 12 febbraio 2008). Il Procuratore Generale della Corte ha messo in evidenza che esistono diversi casi di indebiti finanziamenti a favore di soggetti appartenenti ad organizzazioni criminali. La Guardia di Finanza, nel 2007, ha denunciato frodi comunitarie, tra gli anni 2001-2005, di 343 milioni di euro. Tra le frodi per le quali e' in corso un giudizio davanti alla sezione giurisdizionale della Corte, una riguarda l'indebita erogazione di contributi comunitari per 845.000 euro a societa' di fatto non operative, a carico di cinque soggetti nell'ambito della gestione dell'IPI; un'altra riguarda un danno per 1.935,812 euro provocato al Dipartimento Politiche Comunitarie presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri per indebita percezione di finanziamenti comunitari. C'e' da dubitare della correttezza della Presidenza del Consiglio nel controllo della regolarita' dei finanziamenti comunitari. Ancora una volta sorge il dubbio che lo Stato sia complice e non vittima della frode comunitaria. Il quadro diventa ancora piu' fosco leggendo le analisi della Direzione Nazionale Antimafia. Secondo l'ultima relazione della DNA, le frodi comunitarie commesse da Cosa Nostra si sono trasformate in uno strumento pianificato di “politica economica mafiosa”. Il motore principale dell'azione mafiosa e' l'uso distorto della legge 488 del 1992: secondo la relazione, ci sarebbe un progetto raffinato e capillare per ottenere finanziamenti pubblici. I gruppi criminali seguono sul campo l'iter dei progetti con rilevamenti dei piani industriali inoltrati alla UE e di quelli che vengono finanziati, per realizzare un «sistema esattoriale mafioso, con la iscrizione al registro mafioso del pizzo, degli imprenditori finanziati dalla UE». Ma non basta: la mafia riesce a realizzare addirittura forme di partnerariato tra imprese taglieggiate e Cosa Nostra, in grado di perseguire obiettivi comuni tra estorto ed estorsore. La mediazione politico-amministrativa della mafia sui fondi della 488 e' assidua. In sintesi, «siamo di fronte ad un mercato protetto di beni e servizi criminali che prendono il posto di quelli legali». In questo groviglio di interessi, esiste una circolazione incredibile di certificazioni, attestazioni e omologazioni che sono mere comparse, prestanomi al servizio di Cosa Nostra. Ma questa non e' una novita' per l'Italia. Anni fa scoprimmo in commissione antimafia l'uso sistematico da parte del crimine organizzato di imprese pulite per riciclare il denaro sporco. Cosa Nostra e' riuscita a contaminare l'Unione Europea nei suoi traffici illeciti, senza che vi sia una risposta adeguata al dilagare della corruzione e del riciclaggio. Non si tratta di supposizioni ma di quasi certezze: la relazione solleva dubbi sui reali controlli svolti in fase di erogazione dei finanziamenti europei. A fare da protagoniste del grande business criminale sono alcune imprese ex insospettabili che fanno parte di una lista nera, la black list, che chiedono contributi, poi passano sotto il controllo di gruppi criminali, e si trasferiscono in luoghi dove godono di protezioni e omerta' Parlando di appalti e forniture, la Corte riscontra «il ripetersi di fattispecie di mancata o incompleta realizzazione di opere pubbliche, mancata utilizzazione di progetti, illecito ricorso alla revisione prezzi, danni conseguenti alla indebita sospensione dei lavori, interessi passivi per mancati pagamenti, acquisti o locazioni a prezzi maggiorati, non utilizzazione di beni. Frequenti i casi di irregolarita' nell'affidamento degli appalti collegati a fatti di corruzione e concussione con condanne per danno all'immagine della Pubblica Amministrazione». Il quadro dei fenomeni di corruzione e concussione abbraccia tutto il territorio nazionale: dalla Lombardia al Piemonte, dalla Calabria alla Campania, dalla Sicilia al Veneto. dalla Toscana alla Liguria. Vittime di questo disastro sono gli ignari cittadini che forse pensano che i soldi sperperati sono patrimonio comunitario, mentre in realta' vanno a carico dello Stato e quindi dei cittadini italiani. Bisogna riconoscere che oggi il fenomeno corruttivo ha trovato forme piu' sofisticate. A partire dalla approvazione di norme aberranti come quella che prevede il condono contabile (la legge 256 del 21 dicembre 2005), cosi' come aberrante e' la norma di sostanziale sanatoria di illeciti tributari approvata alla fine del 2007 da parlamentari che avevano interessi propri, o di gruppi consociati, da tutelare. E cioe' di persone che versavano in conflitto di interessi.


IL SILENZIO DEI DUE LEADER

L'anello debole del programma di Veltroni e' proprio il silenzio su questo nodo cruciale. Il conflitto e' la situazione apparentemente “legale” in cui viene a trovarsi un governante, un amministratore, un banchiere, un politico o un giudice, che anziche' fare l'interesse pubblico nella sua attivita' istituzionale, cura il suo interesse privato o quello di amici e prestanomi. Esso viola l'articolo 97 della Costituzione che impone alla Pubblica Amministrazione di rispettare i principi del buon andamento e dell'imparzialita'. Viola codici deontologici. Ma non viola il codice penale. Ed oggi e' divenuto il principale strumento di corruzione. Un cancro che affligge la politica, parte della magistratura e le istituzioni pubbliche e private da decenni. E non si riesce a debellare. Proprio perche' chi dovrebbe debellarlo - in primis il governo - versa in clamorosi conflitti di interessi e non puo' percio' risolvere il problema. Non vogliamo fare un favore a Silvio Berlusconi, contro cui siamo schierati da sempre e saremo sempre schierati, ma neppure possiamo fare finta di niente. Ci rattrista dover costatare che si siano spente malinconicamente le luci chiassose dei media sul problema della corruzione e della criminalita' organizzata. Che potrebbe andare al potere con nuovi governanti, interessati ad abrogare la legge Rognoni-La Torre del 1984 sulla confisca dei patrimoni illeciti. Sarebbe opportuno che la Sinistra Arcobaleno ponesse nel suo programma il ripristino dell'articolo di interesse privato in atti di ufficio per sanzionare la valanga di conflitti d'interesse che sono la forma piu' grave di corruzione, oggi del tutto impunita. Le consulenze sono prive di qualunque giustificazione, servendo a creare solo clientele. Esse sono una copertura legale alle tangenti e restano impunite.


Ferdinando Imposimato

07 Marzo 2008


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lunedì 28 gennaio 2008

Sistema elettorale.

Sistema elettorale, elezioni o governo tecnico ?


Il sistema maggioritario e il sistema proporzionale

Il dibattito sulla riforma della legge elettorale é, per sua stessa natura , tra i più difficili che una classe politica possa affrontare: il motivo é che dalla legge elettorale dipende la sorte stessa dei partiti. Non esiste una legge elettorale in grado di accontentare tutti i partiti, così come non esiste una riforma elettorale in senso maggioritario che non peggiori la posizione di qualche partito. Sicché la difficoltà di giungere ad una riforma in Parlamento é nel puntuale dissenso, spesso decisivo, di chi non ha interesse ad attuarla. Come é avvenuto nella recente crisi di governo, dovuta alla defezione di due pseudopartiti, l'Udeur con due senatori, e i liberaldemocratici, con un senatore. Che hanno messo in crisi il governo solo per sopravvivere.

L'essenza delle legge elettorale é nel metodo: un criterio di trasformazione di voti in seggi. Il sistema proporzionale trasforma i voti in seggi in proporzione: a tanti voti corrispondono altrettanti seggi. Il sistema maggioritario attribuisce il seggio, in ogni collegio (l'ambito territoriale in cui si vota per eleggere una o più candidati), al più votato, secondo il principio che il primo piglia tutto e il secondo niente. Si vede subito l'enorme differenza tra i due sistemi ed i loro rispettivi limiti . I sistemi proporzionali soddisfano l'esigenza della rappresentatività dei cittadini, e producono parlamenti che rispecchiano la distribuzione dei partiti e delle opinioni. I sistemi maggioritari mirano alla governabilità: eliminano i piccoli partiti per avere governi efficienti.

Con il sistema maggioritario puro, la maggioranza del 51 % può prendere tutti i seggi, lasciando senza rappresentanza l'opposizione. Il che sarebbe assurdo. La opposizione che dissente é l'essenza stessa della democrazia, é parte integrante della volontà popolare e non può essere sacrificata sull'altare della governabilità. Una maggioranza senza opposizione si trasforma in regime, che é la dittatura della maggioranza.

D'altra parte un sistema proporzionale in cui la frammentazione produce ingovernabilità deve preoccupare, rischiando di portare alla paralisi ed alla impossibilità di fare le scelte necessarie.


E dunque il dilemma sistema maggioritario o proporzionale resta e deve essere risolto con una precisa scelta di campo, rispondendo a questa domanda cruciale. Si vuole un paese in cui si contendono il campo due soli partiti, come in Inghilterra ed in America? o un sistema in cui siano rappresentati più partiti e fino a che punto i singoli partiti devono essere ammessi?

A questa domanda non é facile dare una risposta senza avere dato qualche dato storico.


Quale sistema per l'Italia?

Bisogna dire subito che la realtà italiana é ben diversa da quella anglosassone; e che la legge elettorale è pregiudiziale a tutte le altre riforme: una cattiva legge elettorale può fare saltare un intero sistema istituzionale. Il sistema elettorale da scegliere non é un fatto astratto: dipende da ciò che esiste nel mondo dei partiti e dai problemi che ogni paese deve affrontare. In Inghilterra, che da sempre funziona con un sistema bipartitico, con una legge elettorale uninominale ad un turno, molti chiedono la proporzionale per aumentare la rappresentatività dei diversi interessi esistenti nel Paese nel Parlamento. In Italia il problema si rovescia. Come nella Francia della Quarta Repubblica, noi abbiamo troppi partiti: ma alcuni di essi , in realtà, sono partiti solo di nome: in effetti sono oligarchie che perseguono l'auto riproduzione di pochi individui, amici, parenti e talvolta amanti. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti. Questi pseudopartiti a carattere familiare tengono sotto ricatto il governo in permanenza, con richieste di seggi sicuri in numero superiore a quelli spettanti in base agli elettori di ciascun partito. Questi piccoli partiti si alimentano prevalentemente con il sistema delle clientele, degli appoggi delinquenziali e dei finanziamenti non trasparenti. Sicché una legge proporzionale pura, in cui siano rappresentati tutti i partiti, anche quelli dell'1 per cento o dello 0, 50 %, sarebbe una legge devastante. Infatti la scelta della proporzionale pura fu nefasta per la Repubblica di Weimar (1919-1939), e fu il preludio della frammentazione partitica tedesca che sfociò nella tragedia del nazismo. Ciò impone di trovare un sistema in cui sia ridotta la frammentazione e sia favorita l'aggregazione dei partiti, in modo da garantire una maggiore governabilità: per affrontare, decidere e risolvere i problemi ispirandosi all'interesse generale del Paese.

L'ideale é una legge proporzionale che lasci in vita i partiti medi . Ci sarebbe dunque una sorta di struttura bipolare fondata non su due partiti ma su quattro o cinque partiti che abbiano una certa consistenza numerica minima. A questo scopo risponde la bozza Bianco che ha ricevuto in commissione affari costituzionali il voto della maggioranza di centrosinistra e l'astensione della opposizione di centro destra. Cancellare un partito come Rifondazione o come i Verdi sarebbe impossibile oltre che ingiusto e lascerebbe senza rappresentanza milioni di lavoratori e ambientalisti. Essi rappresentano vaste aree di elettori che non si sentirebbero rappresentanti dal Partito Democratico. Per l'Italia andrebbe bene una legge proporzionale, come la bozza Bianco, che introduca il voto di preferenza, una quota di sbarramento del 5% e il divieto di alleanze elettorali tattiche destinate a scomparire dopo le elezioni. Ma questa bozza é stata bocciata da Silvio Berlusconi , che deve riconoscere a Mastella ed al suo nanopartito, il prezzo del tradimento . Il rischio concreto é che si andrà al voto con la legge vigente, voluta da Berlusconi, che fa comodo anche ad altri partiti perché consente la scelta arbitraria dei candidati per l'abolizione del voto di preferenza. Intanto, tramontata la bozza Bianco , le nuove elezioni vanificherebbero anche il Referendum a causa del possibile scioglimento anticipato della Camere.


L'impossibilità del bipartitismo coatto

Una cosa é certa: l'esperienza italiana insegna che il corpo elettorale rifiuta il “bipolarismo coatto”, fondato sulla alternativa tra due partiti, tanto per usare la efficace definizione di Gianni Ferrara sul Ponte del marzo 2007. E non accetterà mai manipolazioni della rappresentanza politica per trasformare la rappresentanza popolare in due soli soggetti politici, che siano espressione della volontà di tutti gli elettori. Una legge elettorale non può andare contro gli schieramenti e gli interessi esistenti nella realtà . Il bipartitismo sarebbe una mistificazione della democrazia moderna. Che é un ideale , una teoria, una pratica politica , un patrimonio istituzionale dalle molte varianti. Una democrazia che ha sempre più bisogno di forme rappresentative convincenti perché espressioni della pluralità, della varietà, della complessità e della autenticità dei bisogni e delle aspirazioni delle associazioni umane da rappresentare e non riassumibile in un solo partito ed in una sola persona. Occorre dunque una legge elettorale che invece di irrigidire la forma di governo parlamentare, ne confermi il carattere fondamentale della fluidità. E non comprima la forza variegata della rappresentanza costringendola in due partiti secondo una paratia stagna. In aderenza ad una democrazia che , se legittima l'emergere di un partito che aggrega la parte più consistente della popolazione , non può, sulla base della ragion d'essere del pluralismo , permettere che tale partito assuma ed esaurisca il ruolo sociale e politico di tutti gli interessi. Insomma il popolo non accetterebbe un bipolarismo che esclude la vasta gamma della sovranità popolare, in nome di una governabilità che sarebbe contraria alla democrazia perché lascerebbe vaste aree del popolo senza rappresentanza parlamentare. Insomma il pluralismo é una ricchezza da preservare e richiede un sistema proporzionale. Ma il pluralismo non significa frammentazione per fini di potere di gruppi o individui, come é nel caso dell'Udeur e del partito liberaldemocratico di Dini.



Il bipolarismo non scompare

La classe politica italiana ha davanti a sé due strade.


Una é la legge vigente, varata dal centro destra per provocare l'ingovernabilità del paese . Essa , sotto sotto, é desiderata da molti partiti, poiché l'assenza del voto di preferenza conferisce alle oligarchie che controllano i partiti il potere assoluto nella scelta dei candidati. A scapito degli elettori che non contano più nulla.


L'altra é la bozza Bianco ed il ritorno al sistema proporzionale. Che la bozza Bianco segni un parziale ritorno al passato risulta non solo dalle sue regole ma anche dal preambolo della proposta di legge quando si fa riferimento al sistema elettorale del Senato ove si richiama il sistema elettorale esistente fino al 1993 modificato da un voto referendario. Tuttavia ci sono differenze migliorative da quel sistema elettorale. Ci sono i collegi uninominali. C'é una soglia di sbarramento a livello nazionale alla Camera al 5%, che é la più alta mai vista in Italia: un fattore di riduzione della frammentazione.

E' bene ricordare che il sistema proporzionale non comporterebbe la scomparsa del sistema bipolare della competizione politica. Infatti, come nota Giovanni Sartori, il bipolarismo non si uccide per effetto di una legge proporzionale. Il bipolarismo a livello elettorale lo abbiamo da sempre, dal 1948 in poi, e resta radicatissimo. Per tutto il corso della Prima Repubblica, in cui vigeva il sistema proporzionale, gli italiani si sono divisi elettoralmente tra comunisti ed anticomunisti. Era un bipolarismo senza alternanza, non per via della legge proporzionale, ma perché non esisteva la possibilità di un governo con i comunisti . La distribuzione dualistica dei voti si é trasferita anche nella Seconda Repubblica, con limitati passaggi di voti tra destra e sinistra. I tentativi di coinvolgere i comunisti in governi alternativi a quelli DC portarono alla reazione degli Stati Uniti , che non volevano a nessun costo il partito comunista al governo del paese: di qui la lunga stagione delle stragi.

La bozza Bianco, assicurando ad ogni partito una rappresentanza parlamentare tendenzialmente proporzionale ai voti ottenuti, non solo scoraggerebbe bipolarismi forzosi, ma incentiverebbe la naturale formazione di un bipolarismo “virtuoso”, basato sulla distinzione tra programmi omogenei, capace di dare vita a maggioranze organiche di appoggio al Governo. Questa legge risponderebbe anche ad una esigenza di armonia con la nostra Costituzione , che non tollera la elezione diretta del premier e del governo. Il nostro sistema é nato parlamentare ed il Governo deve essere “emanazione” del Parlamento, fulcro del sistema.

La verità é che il bipolarismo é fisiologico in tutti le democrazie europee , e non dipende dalla legge elettorale. Quasi tutti i Paesi europei sono contemporaneamente proporzionalisti e bipolari. Ciò dimostra che non occorre un sistema maggioritario per salvare una struttura di voto bipolare. Per cui se cade il maggioritario, come noi speriamo, non cade il bipolarismo.

Altra cosa é il bipolarismo a livello di Governo, che significa l'alternanza tra governi di centro destra e governi di centro sinistra. Con il sistema proporzionale si possono verificare distribuzioni di voto tali da provocare il perfetto equilibrio tra le forze antagoniste in campo; ciò spinge a ricorrere alle grandi alleanze tra forze antagoniste , o a governi istituzionali per fare fronte alle emergenze economiche e sociali e di difesa della democrazia.




La situazione oggi

Venendo all'Italia di oggi, ciò che colpisce , dopo una sconfitta drammatica, preludio di scenari cupi per la nostra democrazia, é l'assenza di una analisi politica incentrata sull'autocritica per i molti errori commessi. Il governo Prodi ha trascurato di fare una legge sul conflitto di interessi e non risolto i problemi dei lavoratori, dei disoccupati, dei precari, delle famiglie senza reddito, dei giovani alla ricerca di spazi. Oggi Veltroni e D'Alema sembrano non volere prendere atto del fatto che la crisi non é dovuta alla presenza della sinistra cd radicale ma alle forze conservatrici come quelle di Mastella e Dini e di una parte del PD. Mentre lo spettacolo tragicomico della Campania , addebitabile al centrosinistra, ci ha ridicolizzato in tutto il mondo. Scrive Giorgio Bocca sull'Espresso del 31 gennaio 2008: “il disastro dei rifiuti napoletani é prima di tutto un disastro della corruzione dei dirigenti della pubblica amministrazione e della criminalità. In questi anni hanno ricevuto dal governo centrale decine di miliardi di euro per risolvere la raccolta e la collocazione della spazzatura, e se li sono spartiti e mangiati. I soldi sono finiti nelle tasche dei funzionari e dei politici ” . Ma c'é stata anche una politica di potere per il potere: il primo messaggio é stato quello della moltiplicazione del numero dei posti di governo, ministri e sottosegretari. Ed infine un programma pletorico che trascurava quattro obiettivi prioritari: il lavoro dignitoso, la difesa dei senza reddito, il conflitto di interessi, le legge elettorale .

Siamo stati quotidianamente sbertucciati in più lingue. Il New York Times titolava: “nessuna sorpresa . In Italia cade il Governo” La rivista Times racconta; “come cade un governo italiano tra urla, sputi, citazioni poetiche sbagliate”. Le Monde dedica poche righe ad un Paese immobile e diviso mentre tutto il resto del mondo é cambiato. I giornali britannici aspettano con ansia il ritorno a Palazzo Chigi del Cavaliere, che stimola il loro umorismo.

Al di là della sconfitta, all'orizzonte c'é lo spettro delle elezioni politiche anticipate. E di un regime berlusconiano a tempo indeterminato. L'esperienza drammatica di oggi é figlia della insipienza di coloro che, nel centro sinistra, hanno stipulato patti scellerati con il leader di Forza Italia, per ragioni personali e non nell'interesse del Paese.

La strategia, coltivata da Massimo D'Alema e Walter Veltroni, é quella di un partito democratico onnicomprensivo e isolato dalle forze della sinistra. Ma non si vede nessun segnale di rinnovamento nel ceto politico: si prospetta un fronte elettorale con candidati, simboli e coalizioni tutti già visti. Ancora una volta prevale la scelta di sopravvivenza politica, in contrasto con la regola generale, comune ad ogni democrazia, secondo cui chi perde se ne va a casa e non ha la faccia tosta di riproporsi come salvatore della patria. Ricordando Gaetano Salvemini che scrisse, dopo l'avvento del fascismo, ai responsabili della sconfitta: “ Chi fallisce , perde fiducia, Voi siete dei falliti. Certo il successo non deve essere l'unica norma di giudizio. Ma se il successo non deve essere norma di giudizio morale, l'insuccesso, specialmente se é troppo grave, non può non essere norma di giudizio politico. E' ridicolo , dopo quel po' po' di botte, di cui abbiamo fatto la ricevuta, trovarci tra i piedi ancora della brava gente che non ha imparato nulla, che non ha mutato nulla e che ci ricanta che non c'é nulla da imparare, non c'é nulla da mutare e c'é solamente da ricominciare da capo a biascicare le vecchie giaculatorie e a riprendere le vecchie lotte”.


Ferdinando Imposimato

28 Gennaio 2008


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Difesa collettiva della Costituzione contro i demagoghi