lunedì 9 aprile 2007

La democrazia e i partiti.


I partiti sono essenziali.

Sarebbe possibile una democrazia dove i leader con il loro carisma si sostituiscono ai partiti?


La risposta non può che essere: no !


Un altro problema relativo ai partiti è la carenza di programmi e progetti politici, per cui i partiti non si distinguono fra di loro in maniera chiara.


In Italia la cosiddetta “democrazia” non è altro che un sistema di partiti, i quali non propongono un quadro di riferimento programmatico e di opzioni, e quindi gli elettori si esprimono a vuoto e la politica produce il vuoto.


Dice Kelsen1Solo l'illusione o l'ipocrisia può credere che la democrazia sia possibile senza partiti politici”. Ovvero i partiti sono necessari, ma se i partiti non funzionano come dovrebbero, la spiegazione risiede nel fatto che in Italia i partiti, benché ridotti ai minimi termini, sono centri di potere con correnti e gruppi che non sono espressione di ideali politici e di pensiero, ma portatori di interessi dei burocrati, di lobbies e di capitalisti pubblici e privati.

Da questi attingono finanziamenti e sostegni nelle competizioni elettorali. La campagna elettorale di alcuni leader, costata decine di miliardi senza che nessuno li ostacoli, non può essere finanziata da società e gruppi finanziari esterni ai partiti, al di fuori di qualsiasi controllo.

Poche famiglie di industriali e finanzieri detengono il potere economico e controllano in modo diretto o indiretto le principali fonti di informazione attraverso le quali canalizzano il consenso delle masse. Il conflitto di interessi dilaga e inquina i partiti.


I partiti hanno perso la loro centralità (ovvero non sono più credibili e i cittadini sono scettici) e sono privi di capacità di selezione e formazione del personale politico.


La degenerazione dei partiti ha comportato l'esplosione di fenomeni di personalismo con l'irruzione sulla scena politica di soggetti ad alto reddito personale, capaci di condizionare pesantemente lo sviluppo della vita democratica.

Ma questo grazie alle carenze di una politica asfittica e troppo spesso consociativa2.


E' bene dire le cose come stanno: i conflitti di interesse che investono diverse persone e settori, il sistema degli appalti a trattativa privata, la moralizzazione dei partiti non sono risolti perché non si vuole risolverli, e non per una semplice distrazione. Così come appare ridicolo erigere barricate e gridare contro il sistema delle concessioni nelle grandi opere pubbliche, che sono state inventate dalla Democrazia Cristiana (1942-1994) ma tenute in vita dai vari Governi di centro destra e di centro sinistra.


La degenerazione dei partiti è stata possibile grazie all'assenza di regole e controlli sul loro funzionamento. La vita dei partiti si è così spenta fino ad isterilirsi. Intanto è riesploso il fenomeno dei falsi tesserati e dell'aumento del numero degli iscritti in fasi delicate come il rinnovo di cariche interne, fenomeno che non ha riguardato solo Forza Italia (destra) ma anche i DS (sinistra) nella battaglia politica tra le varie correnti. Il fenomeno del tesseramento selvaggio, che aveva caratterizzato in tempo la Democrazia Cristiana dei Gava, sarebbe stato impensabile ai tempi di Enrico Berlinguer ed Alessandro Natta, per i quali anche nella competizione politica più aspra esisteva un argine morale non superabile.

Quale è la ragione di tutto questo? I pacchetti di tessere servono a mantenere e a consolidare l'influenza interna delle nomenclature immarcescibili e dei gruppi organizzati e a regolare i rapporti nella spartizione del potere nelle opere pubbliche, nella RAI, nella scelta dei candidati al parlamento e dei vertici dei grandi enti pubblici privatizzati.


Ma il problema non è più solo dei programmi che non esistono. E' degli uomini che non rappresentano più gli interessi e i valori. Nessuno ha interesse a bloccare un processo che coinvolge un po' tutti. Il ricorso alla riforma degli Statuti per moralizzare la vita dei partiti non inganna più nessuno. L'idea portante è quella di creare un partito aperto e garantista. Tra le novità assolute c'è quella dell'anagrafe degli iscritti, che deve servire a contrastare il fenomeno del falso tesseramento. Altra novità di rilievo sono le sanzioni disciplinari, la valorizzazione delle donne e la previsione della procedura di sostituzione del segretario generale del partito in caso di dimissioni o di impedimento. Nulla di fatto accade per l'anagrafe degli iscritti. Anche l'impegno di portare le donne al 40% negli incarichi di direzione nel partito si è disciolto come neve al sole.


Cosa fare? Rassegnarsi a questo stato di cose?


La strada da percorrere non è quella delle fondazioni, che pure sono utili e stimolanti, ma la gestione democratica e trasparente dei partiti, con regole sul loro funzionamento.

Che non siano affidate a Statuti interni, inesistenti o violati. A ben riflettere, la crisi dei partiti è stata voluta da coloro che costituiscono la loro leadership. E vediamo perché. Sul piano giuridico i partiti, pur essendo previsti dalla Costituzione (art.49) come soggetti politici essenziali alla democrazia, sono semplici associazioni di fatto non riconosciute (sic) – sembra incredibile ma è così – disciplinate dagli articoli 36 e seguenti del codice civile. Come tali esse non sono soggetti ad alcun controllo né di rango Costituzionale, né di altro genere. La ragione di tutto questo è nella insufficienza della legislazione costituzionale e nella mancanza di una legge ordinaria in grado di fissare delle regole sulla democrazia interna, sull'accesso ai partiti e sulla tutela degli iscritti. Ma non solo su questo. Essendo divenuti centri di potere, ad essi si accede di regola solo con un processo di cooptazione, quasi sempre dall'alto. E questo urta contro il diritto di qualunque cittadino che professi le stesse idee a iscriversi per esercitare un proprio diritto pubblico analogo al diritti di voto. La Costituzione prevede il diritto dei cittadini di associarsi nei partiti per concorrere con metodo democratico a formare la politica nazionale. Ma a parte ciò,è evidente che i partiti, pure rappresentando interessi necessariamente particolare della realtà sociale, svolgono una funzione pubblica che non può essere abbandonata a sé stessa, come è adesso. Sicché quando i partiti sono, come oggi, senza statuto pubblico, si lascia scoperto uno dei settori più delicati della vita politica e si lasciano senza garanzia i cittadini. Una situazione del genere può andare bene quando i partiti sono semplici macchine elettorali, che entrano in catalessi una volta terminata la battaglia delle elezioni. Oggi che essi sono organi permanenti e capaci di incidere costantemente sulle scelte politiche del Governo e sulla politica sociale, una battaglia al loro interno può avere conseguenze sulla direzione della cosa pubblica, e dunque sui cittadini, anche su quelli che non militano nel partito in questione. Da qui la conseguenza che non è più tollerabile la gestione autoritaria e arbitraria dei partiti da parte della leadership, non solo nell'area della maggioranza ma anche in quella della opposizione.


Ma qual' è la situazione dei partiti in altri paesi di avanzata democrazia?


Sicuramente meno drammatica che in Italia.

Tratto comune ai partiti operanti negli Stati Uniti, in Francia, nel Regno Unito e in Germania è stato il progressivo affermarsi di un modello nuovo di partito, sintesi dei due modelli definiti da Maurice Duverger del partito dei “notabili” e di “quadri” e del partito di massa. Si tratta di una forma partito – definita “catch all party” da O.Kirkeiner in “The transformation of the European Party System”, che privilegia il momento elettorale, proprio perché il potere dei leader è fondato sul successo elettorale. Chi vince guida il partito, chi perde se ne va a casa. La tattica politica e la scelta dei canditati sono condizionate dall'opinione dell'elettorato, al quale, prima ancora che ai militanti, i leader si rivolgono. E' l'esatto contrario di ciò che avviene in Italia in cui le sconfitte elettorali, azinchè segnare la fine politica dei leader, ne vedono accrescere il potere e l'arroganza che tavolta superano la protervia degli stessi vincitori, come ha acutamente osservato Emanuele Macaluso.


In molte costituzioni europee i partiti hanno ottenuto un riconoscimento formale: è il caso dell'Italia, ma anche della Germania (art.21), della Francia della V Repubblica e della Spagna.

Ma l'anomalia italiana è l'unica nell'avere lasciato i partiti a livello di associazioni di fatto prive di controlli. Questo ha significato assenza assoluta di regole e quindi arbitri che si risolvono nella fine della democrazia.

E' utile ricordare che la Costituzione tedesca dichiara espressamente l'incostituzionalità dei partiti che “per i loro fini o per il comportamento dei loro aderenti, mirano ad intaccare o a rovesciare il libero ordinamento democratico”. Il Bundestag (parlamento tedesco), nel gennaio 1994, approvò la legge di riforma della legge sui partiti, sulla sua struttura nonché sul funzionamento.

L'art.10 di quella legge prevede che lo Statuto dei partiti deve contenere indicazioni riguardanti:

  1. l'ammissione degli iscritti

  2. le misure disciplinari previste nei confronti degli iscritti

  3. i motivi che legittimano le misure disciplinari

  4. gli organi abilitati ad erogarle


Di notevole interesse è il fatto che l'art.21 della Costituzione tedesca che disciplina i partiti è stato considerato rilevante non solo quanto alla incostituzionalità dei partiti antidemocratici, ma anche con riferimento al funzionamento della democrazia interna.


In Italia, ove nei partiti la democrazia interna è sistematicamente violata, la mancanza di un riferimento costituzionale espresso e di una legge ordinaria adeguata, rende i burocrati dei partiti praticamente inattaccabili e immutabili. Un autentico vulnus che ha impedito la nascita di partiti mediatori sociali e ha consentito il proliferare di partiti-associazioni a carattere famigliare senza regole. Gruppi di autocrati auto referenti, immarcescibili a qualunque sconfitta, attaccati alle poltrone. E si comprende perché quando i leader varano riforme che la maggioranza dei cittadini non condivide, si levano nei partiti sterili e flebili voci di protesta, ed alle grandi manifestazioni popolari si cerca di supplire con qualche intervista che cade nel vuoto.


Negli USA, il partito non ha forti connotazioni ideologiche né uno stabile apparato burocratico, poiché gli organizzatori si mobilitano al momento delle scadenze elettorali. Le caratteristiche dei partiti statunitensi possono riassumersi nel decentramento dei poteri al suo interno, nell'esistenza di una dettagliata regolamentazione interna dei militanti e nella non interferenza dei partiti nella scelta dei candidati alle cariche della Pubblica Amministrazione. Dopo le elezioni, il partito soccombente perde il suo capo e la leadership tende a diluirsi tra diverse personalità politiche.


In Inghilterra, ove pure la leadership nei partiti è molto forte, vigono le regole rigorose comuni a tutti i partiti: tra queste, la sostituzione immediata del leader in caso di sconfitta elettorale, l'organizzazione di un congresso annuale o ogni due anni, la selezione dei candidati collegata alla scelta della base nell'ambito di una rosa di nomi predisposta dall'ufficio centrale del partito. In Italia invece i congressi sono rari e ciò rende impossibile alcun ricambio. I programmi e gli statuti vengono presentati già confezionati.


In Germania l'organizzazione dei partiti è molto complessa.

Il congresso del partito socialdemocratico si riunisce ogni due anni3. I candidati politici sono designati nell'ambito dei collegi elettorali, sulla base delle proposte provenienti dalle organizzazioni partitiche locali. Riguardo agli apparati, lo Statuto prevede che tutti i mandati e le funzioni di partito donne ed uomini siano rappresentati rispettivamente con il 40% dei posti.


In Francia vige l'incompatibilità tra mandato ministeriale e quello parlamentare ed il reclutamento non partitico del personale di Governo. E le controversie interne ai partiti sono normalmente pubbliche. Le donazione delle persone fisiche a favore di uno stesso partito non possono eccedere la cifra di undici milioni di lire. A partire dal 1995, sono stati invece vietati i contributi da parte delle persone giuridiche ai partiti e ai candidati.


Cosa occorre in Italia per una reale democrazia.


In Italia la sola strada da percorrere è una legge ordinaria che introduca una serie di regole inderogabili che prevedano la nascita e la registrazione di un nuovo partito alla presentazione di un programma politico nazionale, cioè di un progetto che concerna l'indirizzo politico generale del paese, anche se impostato sulla visione ideologica particolare propria di ciascun partito, alla stregua di ciò che avviene in Germania. Il controllo non può ovviamente estendersi al merito del programma perché ciò inciderebbe sulla autonomia politica dei partiti. Questo al fine di evitare il proliferare di partiti dello stesso stampo che finiscono per favorire il personalismo e il clientelismo.


Occorre prevedere – ed è questo un aspetto fondamentale sulla moralizzazione dei partiti – il controllo della gestione economica finanziaria dei partiti ponendo ad essi l'obbligo della rendicontazione delle loro entrate ed uscite e dei loro patrimoni, per rendere pubblici e trasparenti i loro finanziamenti.


Occorre inoltre:

  • assicurare per legge la par condicio dei partiti4, che abbiano un congruo numero di iscritti veri, nell'accesso ai mezzi di informazione nella politica ed elettorale;

  • vietare una pubblicità dei partiti assimilata a quella di tipo commerciale5.



La legge dovrebbe regolare a monte i conflitti d'interesse al fine di prevenirli, come accade in Germania, in Francia e negli Stati Uniti.


Ferdinando Imposimato,
in collaborazione con Niccolò Disperati


9 Aprile 2007




1Hans Kelsen: Giurista ceco, teorico del “normativismo” o dottrina pura del diritto.

2Consociativo: perseguimento di interessi particolari comuni a maggioranza e opposizione.

3Per consentire un ricambio frequente di persone e programmi. Per evitare che i congressi si tengano solo ogni 5 o addirittura 10 anni lasciando al vertice le stesse persone e mantenendo gli stessi programmi.

4La par condicio non esiste in Italia: alcuni partiti o gruppi di poteri detengono il monopolio dell'informazione TV. C'è una specie di video-crazia. Non esiste la parità di condizioni per l'accesso ai mezzi d'informazione.

5La politica deve spiegare le ragioni.

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Difesa collettiva della Costituzione contro i demagoghi